febbraio 2016
………….finalmente cominciamo,
dopo un po’ di tempo stiamo entrando, anche se in punta di piedi,
nel viaggio fluido del web,
piano – piano cercheremo di correggerci e di raccordarci con gli
interessi di chi legge;
i campi sono svariati, ma non vogliamo disperderci;
rispetto ai primi programmi insisteremo sugli argomenti principali:
la città, e naturalmente Monte Echia e perciò Pizzofalcone sono
al centro, anzi al primo punto delle esplorazioni storiche a tutti i livelli,
dalle strade agli edifici, alle architetture: tutto l’insieme offre un quadro
di “conoscenza” non trascurabile di questa parte di Napoli che è
la cerniera del “fronte del Golfo”.
Più si entra nel vivo e più emergono quegli aspetti che confermano,
a nostro parere, questa affermazione.
Forse è difficile spiegarsi con termini che qui sembrano vaghi.
Per ora ci sentiamo di chiedere di aspettare un po’ per rileggere queste
Parole, quando, insieme, faremo un primo
di questa avventura.
Oggi, nella “Mozione d’ordine a Pizzofalcone”, sfrondiamo alcuni rami che
non permettono di mettere in risalto quelli che riteniamo siano i momenti
essenziali per conoscere questa parte della città, riservandoci di approfondire
gli aspetti più essenziali dei capisaldi rilevati.
Proseguiamo l’attenzione sulla “Grande Guerra”, ma, cominciando adesso,
proseguiremo a parlarne evitando le convenzionali notizie storiche e la
retorica che inevitabilmente coagula tutte le analisi e la sua Storia: “Grande è la Guerra”, proprio perché è grande l’uomo che la vive e altrettanto grande,
priva di enfasi e di esaltazioni, deve essere l’umiltà di chi interviene in quei fatti tragici
senza la faziosità delle ideologie, le ultime ancora in giro.
Ma la narrazione deve anche spiegare a chi percorre queste righe, che “La traduzione letteraria” non è un esercizio di routine, ché ogni volta richiede passaggi e interpretazioni di perizia e di riflessioni continue, specie quando la lingua è
comprensibile, quella cioè che muta di continuo nella vita “della gente”, ma anche quando deve rispondere alla convenzione della regola aurea della lingua statuale.
E, attraverso una parentesi goliardica, quasi per un gioco, o uno scherzo,
riportiamo ne “I Cantos”, un allenamento alla dimestichezza con la lingua della letteratura quando gioca su sé stessa nelle parabole e negli aneddoti di giovani spensierati, che però sanno ripensare e ricordare.
La storia dei nostri giorni è oggi assai complessa. Parla di armi e di “nuove guerre”, non quelle degli assalti, ma quella dei contrasti fra civiltà, ritornando nelle ragioni delle confessioni religiose per nascondere, forse, le ragioni degli interessi dei poteri degli Stati.
Ma serve anche qui mettere un po’ d’ordine sulle parole, oltremodo delicate, quando per evitare spigolosità si dice “levante” e non “mediorientale” e, ancor più non si dice “musulmano”. Scopriamo che, ad esempio, “Daesh” è una parola così precisa che sembra solo quella degli addetti ai lavori, mentre i media e i discorsi dei dibattiti ci riportano definizioni di altre sigle: quasi, anzi sempre, una guerra di sigle.
E, dall’esperienza ricchissima di uno di noi (Lucio Martinelli) scopriamo anche che la turbolenza che infuria nel Mediterraneo ci coinvolge da almeno 30 anni. E’ la sua “permanenza dimenticata”. O consapevolmente ignorata. E non ce siamo mai accorti?, o abbiamo raggiunto un livello di indifferenza non più scusabile: forse è incoscienza o forse è incapacità ad agire. La testimonianza qui raccolta rispecchia atroci verità, la prima, forse, è che il rifiuto dell’impegno non è più accettabile.
Ma la parentesi del “viaggio sul lago d’Orta” ci offre una pausa necessaria, specie perché nel nostro bel Paese, magnifico negli angoli che, presi dal quotidiano assillante, ci sfuggono e ci allontanano dall’ottimismo e dalla serenità che invece dovrebbero sostenerci.
Eppoi, quasi fosse un elisir, un viaggio nella “Medicina omeopatica”, che non è dei nemici della scienza, ma che è quel metodo autonomo che ci aiuta ad essere padroni del proprio corpo e a non dipendere dalla somministrazione di medicinali, perché l’organismo, educato a riconoscere le proprie attitudini emozionali può interagire come unità psicofisica emozionale e perciò, nella sua consapevolezza, esso stesso, il corpo, diventa medicina di sé stesso.
Quasi uno svago, il coffee break, che a Napoli è “ ‘a tazzulella ‘e cafè”, quasi un rito che non spezza il tempo, ma il sapore che ricarica e accompagna le parole del giorno e delle relazioni fra gli uomini, che li aiuta a stare insieme.
E insieme si cercherà di sorridere, nel pizzing di commentare, di criticare, di segnare con la metafora la storia dei nostri giorni.
A voi.