L’ECLISSE DI UN REGNO
di Cesare Imbriani
Nelle Memorie di Giuseppe Garibaldi si legge “La presenza di due legni da guerra inglesi influì alquanto sulla determinazione dei comandanti dei legni nemici, naturalmente impazienti di fulminarci, e ciò diede tempo a ordinare lo sbarco nostro. La nobile bandiera di Albione contribuì anche questa volta a risparmiare lo spargimento di sangue umano … Fu però inesatta la notizia data dai nemici nostri che gli inglesi avessero favorito lo sbarco in massa direttamente e con i loro mezzi. I rispettati e imponenti colori della Gran Bretagna imposero titubanza ai mercenari del Borbone.”
Si compì, pertanto, a Marsala, un fato che consentì con alterne vicende a Garibaldi, con i suoi Mille e più, di sbarcare in Sicilia, di traversare lo Stretto, arrivando in Calabria; di entrare a Napoli per poi ricongiungersi con le truppe di Vittorio Emanuele II.
Purtroppo l’atto finale che si concretizzò in tale vicenda unitaria, che comportò il dissolvimento del più grande Stato italiano dell’epoca, sembrava annunciato da tempo.
Fatti e indizi, unitamente ad errori strategici, sono facilmente individuabili. Spesso, discorsi da “salotto” pretendono di individuare astratte ragioni che, però, restano avulse dalla triste logica storica che produsse il dissolvimento del Regno dei Borbone.
Innanzitutto, come è stato nella letteratura sull’argomento evidenziato[1], il vero problema per il Regno delle due Sicilie derivava dal deciso mutamento di strategia della Gran Bretagna sulla questione italiana; come si direbbe oggi, in termini geo-politici, la preoccupazione inglese derivava dal timore di un allargamento della sfera di influenza del neo-bonapartismo francese su una realtà, quella del regno delle due Sicilie, che essa riteneva strategica sia per i suoi vecchi rapporti con la Sicilia, sia per la strategica collocazione geografica del Regno al centro del Mediterraneo.
Ciò faceva ritenere importante un meccanismo di avvicinamento e alleanza della Gran Bretagna al Piemonte come contrappeso alla situazione determinatasi in genere con la crescita di influenza della Francia in Italia, nello specifico nei riguardi dello Stato borbonico.
Nel Regno delle due Sicilie, vi era coscienza del fatto che vi fosse una sorta di isolamento sia per ciò che riguardava i problemi della politica interna, specie per il problema di un costituzionalismo mai risolto, sia per quelli di politica estera, dove, a fronte di un preteso approccio neutrale dei Borbone, non corrispondeva da parte delle grandi potenze dell’epoca una adeguata considerazione .
Era opinione non diffusa, ma ben presente, nell’ambiente di Corte, che fosse necessario incamminarsi sulla via delle riforme istituzionali volute dalla Francia, tant’è che, dopo una defaticante trattativa con il potente alleato, era stato presentato un progetto di Costituzione di stampo moderato, che, come nella tradizione della dinastia, fu però rifiutato dal re.
Ciò che avrebbe salvaguardato dal pericolo di un’aggressione rivoluzionaria (come poi di fatto avvenne) grazie alla copertura politica francese, divenne una ennesima occasione mancata per abbandonare l’assolutismo monarchico e collocarsi tra le nazioni a struttura istituzionale democratica.
In aggiunta a ciò, Francesco ll rifiutò di partecipare ad un evento fondamentale per l’epoca. La crisi italiana dopo la seconda guerra di indipendenza fu discussa nella conferenza di pace di Zurigo tra Austria, Francia, Piemonte e vide concretizzare ulteriori opzioni di adesione al Piemonte (prima i Ducati padani, poi il voto delle Assemblee di Firenze e delle legazioni pontificie).
Francesco ll, indotto in ciò anche da suoi non preveggenti ed incapaci collaboratori, sostenne che, ove vi fosse stata una partecipazione a detto convivio, ciò non avrebbe favorito il ruolo di neutralità e la indipendente natura del Regno delle due Sicilie.
Insomma anche il naturale alleato, la Francia, che unico avrebbe potuto controbilanciare la deriva all’isolamento del Regno delle due Sicilie – dovuto sia all’atteggiamento ottusamente anticostituzionale borbonico (che non metteva in campo le richieste riforme istituzionali), sia alla sua chiusura al dialogo esterno a cagione di una pretesa (ma non richiesta) neutralità che isolava nei fatti un regno con confini rappresentati dal mare e dallo Stato pontificio – era in difficoltà.
Ciò nonostante vari furono i tentativi francesi per perseguire e realizzare la sua strategia di influenza: ad esempio, Napoleone III cercò di rilanciare il programma federativo dell’Italia basato su tre Stati sotto la influenza francese; programma ovviamente osteggiato dalla Gran Bretagna che ormai vedeva lo stato piemontese come l’utile medium dei suoi disegni.
Ma le cose correvano ed arriviamo alle battute finali.
La corruzione operata ad opera dall’ammiraglio Persano sulla Marina napoletana facilitò lo sbarco sul continente delle truppe garibaldine: la Gran Bretagna, nella logica dei suoi interessi, rifiutò di unirsi alla Francia per impedire tale evento.
Un cupio dissolvi inarrestabile, per una dinastia sorda alle tendenze del vero corso della storia, si realizzava; iniziava la triste pagina nazionale di quella che è stata definita una unità debole e precaria, di cui ancora il Mezzogiorno sopporta le conseguenze.
Ma quella del Mezzogiorno post-unitario è un’altra storia, che merita ben più approfondite considerazioni, partendo da una unità nazionale in buona parte subita.
nota dell’autore: si consiglia la lettura del saggio di Eugenio di Rienzo: “il Regno delle due Sicilie e le potenze europee, 1830-1861”