Memorie di un addetto militare: 2^ PUNTATA

1988. L’ANNO DELL’ANGOSCIA

 

1. I principali avvenimenti

I tramonti libanesi sono incantevoli, sia d’estate sia d’inverno, Mentre osservavo lo spettacolo del sole che si tuffava in un mare fiammeggiante, effettuavo, contemporaneamente, un bilancio dei miei primi mesi in Libano. Le bellezze naturali non dovevano distogliermi dalla realtà! La deconcentrazione era una imprudenza inammissibile nell’ambiente in cui vivevo. Riflettevo, in particolare, su due recenti esperienze, molto diverse fra loro ma che avevano contribuito ad aprirmi gli occhi sulle “abitudini” locali. Una decina di giorni dopo il mio arrivo, mi ero recato al pronto soccorso dell’ospedale di Jounieh per accertare le condizioni di un mio carabiniere che, mentre camminava in strada, era stato colpito al capo dal calcio del fucile di una guardia del corpo. Si era trovato lungo il percorso di una autorità locale e non si era tempestivamente fatto da parte! Per fortuna non gli avevano sparato! Se l’era cavata con una ferita e dei punti di sutura! In quella stessa occasione avevo l’opportunità di salvare la vita a un giovane indiano. Dopo essere stato investito da un’auto, il poveretto era stato respinto dall’ospedale perché non aveva sufficiente danaro per ridurre le numerose fratture riportate. Ho pagato i 70 dollari necessari per le cure ed è stato subito assistito. Venivo pertanto a conoscenza che la sanità in Libano era a pagamento, fatta eccezione per i feriti di guerra (miliziani e soldati) perché pagavano le organizzazioni militari. I medici erano costretti a respingere tutti gli extracomunitari infortunati. Infatti, la manodopera, nel settore cristiano, era svolta da immigrati, soprattutto asiatici e la integrità fisica era una loro esclusiva preoccupazione.

In occasione di un pranzo nella residenza dell’Ambasciatore, avevo finalmente conosciuto Samir Geagea, l’enigmatico capo della più potente organizzazione politica, civile e militare libanese: le Forze Libanesi (FL). La milizia, forte di diecimila uomini in servizio attivo (superava i 20 mila con i riservisti), disponeva di armamenti pesanti, ricevuti sia da Israele sia da Saddam Hussein (sic!). Da anni le FL si erano sostituite allo Stato nella regione cristiana, fornendo agli abitanti assistenza sanitaria, scuole, supermercati e, ovviamente, centri di addestramento per i miliziani, compresa una Accademia per la formazione degli Ufficiali. Geagea si era intrattenuto con me per circa un’ora su svariati argomenti di carattere militare, invitandomi a visitare il suo Comando e la stessa Accademia. Al momento di congedarsi, mi chiedeva, bruscamente, se potevo procurargli una M-12, la mitraglietta in dotazione ai carabinieri. La mia risposta era naturalmente “interlocutoria” (né un sì né un no). Al contrario, appena rientrato in Ambasciata, convocavo il responsabile della sicurezza affinché vietasse ai carabinieri l’uso della M-12 durante le scorte esterne. Correvano il rischio di essere aggrediti, o peggio, per sottrargli un’arma localmente “appetita”. Di armi comunemente impiegate da soldati e miliziani libanesi ne avevamo a sufficienza. Era più prudente usare quelle.

Anche mio figlio si addestra al tiro con una carabina Winchester.

 

Nella “rassegna stampa” del mattino, tutti i giornali riportavano il resoconto dell’anno appena trascorso e azzardavano caute previsioni per quello iniziato. Il 1987 era stato definito “l’anno del fallimento e del degrado”, a causa dell’immobilismo statale e internazionale, del boicottaggio, della corruzione interna, dei sanguinosi scontri interconfessionali, degli assassinii di esponenti politici, come il Primo Ministro dimissionario Rachid Karamé. Le ragioni dello smacco istituzionale erano individuate nel clima di diffidenza attorno al Presidente della Repubblica, AmineGemayel e ai suoi collaboratori, aggravato dalla crisi economica. Sul piano regionale, il fallimento era dovuto alle tensioni tra le comunità, in particolare quelle musulmane che, con i loro improvvisi mutamenti nelle alleanze favorivano contrasti e rivalità. La frustrazione della popolazione era la consapevolezza che in Libano nulla era possibile senza il consenso di Damasco. Dal 20 febbraio del 1987, le truppe siriane erano rientrate in forze nella capitale, pertanto qualsiasi iniziativa o riforma era diventata inattuabile.

Il 1988, nella valutazione di alcuni analisti locali, veniva presentato come “l’anno dell’angoscia”, soprattutto per l’incognita rappresentata dalla elezione di un nuovo Presidente della Repubblica. In settembre, infatti, scadeva il mandato di Gemayel, eletto nel 1982, dopo l’assassinio del fratello Béchir per mano siriana. L’unica notizia positiva era la fine della “guerra dei campi”, iniziata nella primavera del 1985. Si trattava di un sanguinoso conflitto fratricida che aveva opposto gli sciiti di Amal ai palestinesi dei campi di Sabra, Chatila e Burjal-Barajneh, nella periferia sud di Beyrouth. Per gli sciiti, i palestinesi non erano più i “fratelli” che avevano contribuito, negli anni ’70-’80, a distruggere il potere centrale libanese. Ora, erano una presenza ingombrante, che durava da tredici anni e che ostacolava i progetti futuri di controllo del territorio da parte di Amal. In 990 giorni di assedio dei campi non c’erano stati né vinti né vincitori, ma tantissime vittime. Soltanto negli ultimi dodici mesi di combattimenti, i morti erano stati 1300; ma questo dato era attendibile per difetto poiché relativo ai soli decessi avvenuti negli ospedali e al conteggio dei cadaveri raccolti dalla Croce Rossa libanese sul terreno. Il loro numero era inferiore alla realtà perché molti morti venivano portati via dai parenti o dai miliziani per non rendere note le proprie perdite. Gli insediamenti palestinesi erano delle vere fortezze, con rifugi e magazzini sotterranei in calcestruzzo. Presi però per fame nel lungo assedio, i fedayin, prima di arrendersi, avevano invocato l’aiuto delle autorità religiose islamiche affinché promulgassero una fatwa che li autorizzasse a cibarsi dei cadaveri. Questa sconvolgente notizia non indignava il mondo occidentale, cosa che sarebbe stata sicuramente dichiarata scandalosa e inaccettabile qualora gli assedianti fossero stati “ebrei sionisti” o “falangisti cristiani”. Damasco, tuttavia, si affrettava ad inviare 7000 soldati nella capitale, per interrompere il blocco dei campi da parte dei suoi “alleati” sciiti e nello stesso tempo riprendere il pieno controllo degli “avvenimenti libanesi”.

Mentre guardavo il cielo rosso carminio sulla linea dell’orizzonte, pensavo a quanto fosse veritiera l’affermazione di J.W. von Goȅthe: “Viviamo tutti sotto lo stesso cielo ma non tutti abbiamo lo stesso orizzonte”. La natura cercava in tutti i modi di far apparire meno fosco l’orizzonte di questa splendida e misteriosa terra di cui ero ospite. La natura, ma non gli uomini! Per la bellezza e la dolcezza dell’ambiente il Libano è menzionato più di sessanta volte nella Bibbia, che lo descrive come “il paese del latte e del miele”, lo decanta per il “profumo dei suoi cedri, per il verde dei suoi fitti boschi, per le acque salutari e cristalline, per le “maestose montagne innevate”.

La lunga catena montuosa longitudinale, che lo percorre da nord a sud formando la spina dorsale del paese, è chiamata, da sempre, la “montagna bianca”. I beduini delle carovane che arrivavano dall’afoso deserto siriano con la mercanzia proveniente dall’estremo oriente, osservavano stupiti le sue vette innevate, bianche come il latte di capra e di cammella. Le lingue moderne, al posto del termine greco Lìbanos, hanno adottato l’antico nome semitico Lebanon, chederiva da una radice verbale che significa “essere bianco come il latte”. E il latte in arabo si dice laban.

A volte ricordavo a me stesso la metamorfosi subita dalla intera regione nel corso dei secoli: era una utile “ginnastica mentale”. Abitata lungo le coste già quattromila anni prima di Cristo, da rasNaqoura (sud) al fiume Oronte (nord), era chiamata “la terra di Canaan”. I cananei, però, erano meglio conosciuti come Fenici, perché così li chiamavano i greci (da phŏinix=rosso) per il fatto che estraevano dalle ghiandole di una chiocciola marina (la murex) una secrezione con la quale tingevano in modo indelebile e indecolorabile le stoffe pregiate: la porpora.

 

L’orografia libanese

 

Gli abitanti delle Città-Stato fenicie di Byblos, Sidone, Tiro, avevano solcato i mari su navi costruite con il legno dei cedri, creando la prima talassocrazia del Mediterraneo e diffondendo nel mondo conosciuto un alfabeto e una lingua utile agli scambi commerciali. La civiltà fenicia, le sue colonie, le città edificate nel bacino del Mediterraneo (es. Cartagine) e anche oltre le colonne d’Ercole da questi intrepidi navigatori, subivano una progressiva decadenza ad opera delle invasioni di altri popoli. Con l’arrivo dei romani scompariva del tutto. Per Roma, la ex regione fenicia, compresa la “Montagna Bianca” e la Palestina, era detta Siria Seconda.

Per rendersi conto di come il Libano sia stato la “terra di tutti” fin dai tempi più remoti basta andare qualche chilometro a nord di Beyrouth, alla foce del Fiume del Cane (Nahr el Kalb), che scorre in una gola profonda tra le due provincie cristiane (Cazas) del Metn e del Kessrouan. Vi sono stele e iscrizioni in lingua egiziana, assira, babilonese, greca, latina, araba, francese, inglese che testimoniano gli eventi passati da questo piccolo paese, vero palinsesto di civiltà e di popoli. Dal IV secolo avanti Cristo, sul suo territorio si sono alternati e scontrati: Cananei (Fenici), Aramei, Egiziani, Persiani, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Crociati, Ottomani ed Europei, lasciando al Libano odierno una vastissima eredità multiculturale. La Montagna Bianca, quasi inaccessibile, era la terra-rifugio e scampo di molti popoli confinanti perseguitati, come i maroniti, dopo l’avvento dell’Islām.

Nell’approccio dal mare, il Libano è sempre stato la porta dell’oriente aperta all’occidente.

La nuova nazione, chiamata dapprima “Grande Libano”, nasceva, per volere della Conferenza di Pace di Parigi, il 1° settembre 1920, dopo il collasso dell’Impero Ottomano. Comprendeva la Montagna Bianca (con le sue vette di oltre tremila metri del Sannine e del Qornetes Sauda), la fascia litoranea, la valle della Beqa’a e la catena dell’Antilibano (con il Monte Hermon di 2670 m.). I diplomatici Mark Sykes (inglese) e George Picot (francese), in realtà, avevano tracciato i suoi confini già nel 1916, mentre era ancora in corso la I^ GM, insieme agli Stati arabi artificiali, disegnati a tavolino, che compongono l’attuale, instabile, Medio Oriente. Nel 1926, diventava una Repubblica Parlamentare con il nome di Libano, con un territorio di 10.410 km quadrati, di cui 1700 inabitabili per l’asprezza delle montagne, con una popolazione (stimata) di 2,7 milioni di abitanti, in maggioranza cristiano-maroniti. Redigeva la sua Costituzione, sulla falsariga di quella francese, ma restava sotto il mandato francese per volontà della Società delle Nazioni. La sua indipendenza datava 22 novembre 1943 ma la pienezza dei poteri la otteneva solo nel 1946, con la partenza dell’ultimo soldato francese. Un mosaico di etnie e di comunità religiose, dovevano convivere in pace e in mutuo rispetto. Undici comunità cristiane: Maroniti (eredi di quelli fuggiti dalla Siria nel Medio Evo), Greci cattolici (Melchiti), Greci ortodossi, Armeni cattolici e Armeni ortodossi (superstiti dello sterminio ad opera dei turchi) Siri cattolici e Siri dissidenti (Giacobiti e Nestoriani), Caldei, Latini, dovevano coabitare con una collettività islamica composta da musulmani ortodossi (Sunniti), musulmani scismatici (Sciiti), musulmani settari esoterici e misteriosi come i Drusi e gli Alaouiti, (ritenuti eretici dagli ortodossi). Per notizia, all’epoca, il Presidente siriano Hafez el-Assad era un alaouita e la Siria, viceversa, è un paese a maggioranza sunnita! La difficoltà maggiore del nuovo Stato era “la ripartizione del potere”. Dopo il primo (e unico) censimento del 1932, l’assegnazione delle cariche veniva fatta, di comune accordo, in funzione dell’entità numerica delle varie comunità. Un “Patto non Scritto”, valido ancora oggi, conferiva la Presidenza della Repubblica a un maronita, la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Capo del Governo) a un sunnita e la carica di Presidente dell’Assemblea (Camera dei Deputati) a uno sciita. I vari Ministeri, i seggi parlamentari e le cariche più importanti erano attribuiti sempre con il criterio dell’entità numerica comunitaria.

La confinante Siria, che aveva ottenuto l’indipendenza nella stessa data del Libano, non aveva mai riconosciuto quest’ultimo come Stato, poiché lo riteneva una sua provincia (Mohafazat). Damasco non aveva mai avuto rapporti diplomatici con Beyrouth e ogni occasione era buona per inserirsi negli affari libanesi.

La giovane Repubblica (Al-Jūmhurya al-Lubnānya), godeva molto poco la sua indipendenza. Nel 1948, con la nascita dello Stato di Israele, la diaspora palestinese, respinta da tutti i governi arabi, trovava il suo sbocco nell’ospitale Libano, che accoglieva ben cinquecentomila sfollati. A questi, negli anni successivi, si univano migliaia di curdi per sfuggire alle persecuzioni di Saddam Husseini. La diaspora palestinese segnava l’inizio del calvario libanese. L’OLP di Yasser Arafat, approfittando della debolezza delle istituzioni, cercava di creare uno stato nello stato con la violenza e il sopruso. I campi di addestramento palestinesi, ad esempio, creati per combattere contro Israele, servivano anche per preparare terroristi di tutto il mondo. Anche alcuni brigatisti rossi si sono addestrati nei loro campi, per poi specializzarsi nel cecchinaggio su bersagli umani lungo la linea verde, insieme a tedeschi, baschi, armeni, curdi, giapponesi, indonesiani, filippini ecc.. Molti inconsapevoli innocenti sono stati uccisi dalle pallottole dei loro fucili!

La situazione interna diventava intollerabile di mese in mese, di anno in anno. Gli scontri, attentati e sopraffazioni perpetrati dai palestinesi continuavano senza che lo Stato attuasse misure repressive significative. E’ difficile stabilire la data esatta d’inizio della conflittualità libanese. Il 13 aprile 1975, si verificava un sanguinoso scontro fra falangisti cristiani e fedaiyn palestinesi. Quello che a prima vista poteva sembrare un “regolamento di conti”, più politico che religioso, si trasformava ben presto in un coacervo di guerre locali, combattute senza esclusioni di colpi, anche con l’intervento di eserciti stranieri. Questa data, però, è stata considerata l’origine dell’intera conflittualità interna libanese. Lo scontro tra miliziani cristiani e palestinesi, infatti, coinvolgeva immediatamente le altre comunità. Sunniti e sciiti si schieravano con i palestinesi, ai quali, con differenti motivazioni, si univano anche siriani, iraniani, iracheni e libici. Lo scopo comune era impadronirsi del Paese dei Cedri! La conflittualità si allargava sempre di più negli anni successivi, fino a diventare drammatica con l’invasione israeliana del 1982. L’esercito israeliano arrivava sino a Beyrouth, lasciando dietro di se immani distruzioni in tutto il Sud e nella capitale. Nessun intervento dell’ONU era in grado di fermare questa catena di assurdi scontri interni e tantomeno le stragi, come quella di Sabra e Chatila. Erano dodici anni che il Libano era ormai il campo di battaglia di tutte le fazioni, dopo l’annientamento politico e morale delle sue istituzioni. La lotta interna era identificata dai media occidentali in mille modi diversi: guerra civile, politica, sociale, religiosa, ideologica, tribale ma anche internazionale, poiché nei suoi confini si scontravano interessi di tutti i tipi: il fondamentalismo islamico, il confronto tecno-ideologico Est-Ovest, le ambizioni territoriali siriane e quelle iraniane per la conquista di uno sbocco nel Mediterraneo. Ed ancora: la sicurezza dei confini di Israele, la ricerca di una patria per i palestinesi senza patria, respinti da tutti i paesi arabi. Di tutto si poteva parlare, allora, ma non di guerra civile, perché non corrispondeva a nessun articolo del Diritto Internazionale. Era piuttosto un insieme di guerre locali, tra nemici e comunità ben riconoscibili, che spesso coinvolgevano altre organizzazioni armate e soldati stranieri, che si univano a uno o all’altro contendente secondo il proprio tornaconto. Anche l’intervento della Forza Multinazionale (1982-84) si era rivelato ben presto inefficace. Non era stata in grado di conseguire gli obiettivi per i quali era stata inviata in Libano: disarmare le milizie, proteggere i campi palestinesi dalle aggressioni, ristabilire l’ordine e dare sicurezza alla popolazione. Veniva prontamente ritirata, dopo l’eccidio di soldati francesi e di marine americani compiuto da terroristi islamici.

Nel mio lavoro, prima di fare una valutazione, complessiva o parziale della situazione del momento, dovevo confrontare tutti i singoli avvenimenti in atto con quelli analoghi del passato, per rendere più attendibile la consequenziale previsione. La maggior parte di ciò che accadeva in Libano, infatti, aveva sempre una radice lontana nel tempo. All’inizio del 1988, fare previsioni sul futuro di un Paese senza frontiere, con due terzi del territorio occupato militarmente da Siria e Israele, con un Presidente al termine del mandato, con un Governo dimissionario dal maggio del 1987, che si occupava solo degli affari correnti (quali?), con l’Assemblea Nazionale carente di un terzo dei deputati mai rieletti da molti anni, con il radicalismo islamico dilagante, era un “azzardo” per chiunque non avesse una profonda conoscenza delle vicende passate. Solo la loro padronanza poteva facilitare la comprensione di quelle correnti. E questo era il vero “orizzonte che dovevo osservare” e non quello del tramonto sul mare!

Era illusorio sperare che nel 1988 la situazione potesse mutare. Il cambiamento al vertice politico poteva indicare la nascita di nuovi equilibri interni, rendere più partecipe il consesso internazionale ai problemi di questo sfortunato paese, a cominciare dagli Stati Uniti. Le cause scatenanti della conflittualità, ovvero: YasserArafat, la dirigenza dell’OLP e la massa dei fedayn, erano state rimosse. Anche la guerra tra palestinesi e sciiti sembrava conclusa. Erano delle realtà che “potevano indurre a sperare” ma restava però insoluto il nodo del potere interno. Questo era ripartito tra istituzioni definite eufemisticamente “legali”, cioè quelle statali e religiose (Presidente, Governo, Comandante dell’Esercito, Patriarchi, Mufti della Repubblica, Imam) e quelle “illegali”, vale a dire le milizie comunitarie (Forze Libanesi, Kataéb, Amal, Hizbollah, PSP druso). Nella zona cristiana, ad esempio, le FL da anni si erano sostituite allo Stato nella percezione delle imposte e nell’assistenza sociale. Amal e Hizbollah facevano la stessa cosa nelle aree sotto il loro diretto controllo.

 

Un gruppo di Addetti Militari assiste ad una manifestazione militare.
Da sn, dopo
il borghese: 2 americani, 1 russo, 1 algerino, 1 cinese, 1 francese, 1 italiano,1 turco. 

L’ingerenza politico-militare della Siria era contrastata da quella politico-religiosa iraniana attraverso il “Partito di Dio” (Hizbollah), che poteva contare su capitali pressoché illimitati. L’Iran, infatti, non badava a spese pur di affermare la propria ideologia rivoluzionaria attraverso il terrorismo e l’intimidazione. Il credo radicale, semplice e accessibile, provocava diserzioni da altri movimenti più moderati e attirava i giovani soprattutto per l’aspetto economico. Uno hizbollahi percepiva 300 dollari al mese; un Colonnello dell’esercito regolare 150, così come un Direttore di banca. A prescindere dall’ideologia farneticante, per 300 dollari in Libano si sparava a chicchessia! La situazione economica era tragica. Il dollaro aveva chiuso il 1987 con una quotazione di 350 lire libanesi (LL) e l’inflazione era oltre il 150%. La retribuzione ufficiale minima mensile, al 31 gennaio 1988, era di 9.000 LL, pari a circa 25 dollari. In un Paese dove le merci venivano quasi interamente pagate con la divisa statunitense, questa somma non garantiva certo la sopravvivenza. Eppure la Banca Centrale aveva una riserva di 9.230.000 once d’oro e depositi in banche estere superiori ai 10 miliardi di dollari. Ma la cosa ancora più incredibile era che il debito pubblico estero, sia dello Stato sia privato era quasi inesistente. L’Italia, nel 1987, aveva esportato merci in Libano per oltre 500 miliardi di lire! Ciò che mancava completamente era una mentalità e una cultura economica a livello centrale. I grossi capitalisti ricoprivano spesso anche cariche politiche. L’interesse privato era pertanto privilegiato rispetto a quello dello Stato. La corruzione era indicibile in tutti i settori e gli sprechi della classe politica erano la parte più consistente del danaro pubblico.

Le divisioni comunitarie si riflettevano soprattutto sul territorio. Circa un milione di cristiani vivevano concentrati in un’area di 850 km quadrati, nelle Cazas (province) del Metn, Kessrouan e Jbeil. Duecentomila drusi erano circoscritti nelle montagne dello Chouf (600 kmq). Israele, con la sua milizia libanese (ALS), occupava la fascia di confine sud (850 kmq) insieme all’UNIFIL. Il resto del territorio e la zona ovest e sud della capitale, era lottizzato dalle comunità e dalle milizie musulmane pro-siriane o pro-iraniane, insieme a 35.000 soldati siriani. L’esercito regolare, forte di circa 34.000 uomini, con la truppa in maggioranza musulmana, era stato poco oculatamente ripartito in Brigate confessionali da Gemayel. Quelle interamente musulmane erano stanziate nella zona ovest e pertanto dipendevano quasi esclusivamente dalle comunità religiose (sunnita, sciita e drusa). L’unico provvedimento era stato quello di privarle delle artiglierie.

E questo, in seguito, si rivelerà determinante.

Anche la diplomazia si era ripartita tra la zona cristiana e quella musulmana. In quest’ultima, erano rappresentati solo i Paesi comunisti europei (es. Unione Sovietica) e asiatici, gli stati arabi e africani con regimi dittatoriali o islamici (Libia Iran, Siria, Sudan, ecc.). Solo l’Italia conservava nel settore musulmano una parte della Cancelleria e due Istituti Culturali, uno dei quali nello Chouf.

Questa situazione obbligava noi diplomatici a recarci frequentemente nella zona ovest della capitale, varcando la pericolosissima “linea verde”. Quasi tutte le istituzioni libanesi, a cominciare dal Presidente della Repubblica, erano stanziate nella zona cristiana ove le condizioni di vita erano migliori. I pericoli erano però gli stessi: le autobomba (un mezza dozzina al giorno!), gli attentati per mezzo di sicari o con l’esplosivo piazzato nelle case o nelle autovetture, i sequestri di persona. Non bisognava mai abbassare la guardia, ovunque ti trovavi!

In questa situazione si poteva essere ottimisti?

I cristiani erano concentrati nelle cazas di Jbail, Kesrouane, Metn e aBa’abda.

L’Addetto Militare francese, il Col. René Ruggieri, lascia il Libano. Sono nominato Decano del Corpo diplomatico Militare, al suo posto. Al pranzo siedo al centro della tavolata, dopo un breve discorso di ringraziamento.

 

Tutti i giorni nel Paese dei Cedri c’erano attentati o azioni di guerra. Non è possibile enumerarli tutti in questo scritto. Tuttavia, alcuni fatti influivano e condizionavano maggiormente la situazione generale. E nel corso del 1988, sono stati:

  • Il fallito attentato in febbraio al Presidente Gemayel. Un ordigno esplosivo a bordo dell’aereo presidenziale veniva disinnescato poco prima del decollo;
  • Il rapimento (16/2) da parte dello Hizbollah, a scopo politico e ricattatorio, del Ten. Col. Americano W. Higgins, un osservatore ONU conosciuto da tutti gli Addetti Militari, avvenimento che destava profonda impressione negli ambienti diplomatici;
  • Una escalation del terrorismo islamico e delle autobomba in tutto il Libano;
  • Un aumento, da marzo, della tensione tra l’esercito regolare e la milizia delle Forze Libanesi (FL), a conferma dei contrasti interni alla comunità maronita. La milizia si schierava in tutto il nord del Metn, occupando la zona già sotto il controllo del clan Gemayel
  • Una recrudescenza, nel Libano Sud, delle offensive contro Israele da parte dei palestinesi e dello Hizbollah. Queste azioni provocavano delle controffensive da parte dell’esercito e della aviazione israeliana contro le basi dei terroristi, con numerosi morti e feriti tra i guerriglieri islamici;
  • Lo scoppio, in aprile, di una vera guerra all’interno della comunità sciita tra i pro-siriani di Amal e quelli pro-iraniani dello Hizbollah per il controllo del territorio;
  • La crisi presidenziale, iniziata nella primavera, che culminava con la nomina del Gen. Aoun a Capo del Governo provvisorio, il 22 di settembre.

Questi due ultimi avvenimenti, per la loro rilevanza e per le loro tragiche conseguenze meritano un approfondimento.

 

2.La guerra tra sciiti

Come il fuoco che cova sotto la cenere, all’inizio d’aprile tornava ad infiammarsi il conflitto tra gli sciiti di Amal e quelli dello Hizbollah, prima nel Sud e poi, in maggio, nella periferia meridionale di Beyrouth. Siria e Iran, per ottenere, rispettivamente, il controllo totale del Paese e uno sbocco sul Mediterraneo, ambito dagli ayatollah, si confrontavano attraverso queste due milizie, armate, pagate e addestrate per i loro scopi politici.

I miliziani, al soldo dei due Stati, lottavano con inaudita ferocia per il controllo della periferia sud della capitale: 22 kmq, con circa mezzo milione di abitanti. Entrambi schieravano 5000 uomini armati ma gli Hizbollah sembravano più organizzati e fruivano anche del concorso logistico del Fatah di Arafat. I belligeranti si accusavano reciprocamente di atrocità. Molti cadaveri venivano trovati orrendamente mutilati. Entrambi impiegavano blindati e artiglierie e nessuna mediazione appariva in grado di far cessare i combattimenti. Il 15 maggio Damasco annunciava che cinque reggimenti del suo esercito, con 60 carri armati, erano pronti a intervenire nella periferia sud della capitale con l’ordine di “sparare senza distinzione su tutti i miliziani”. Ad una fragile tregua si arrivava soltanto alla fine di maggio e il bilancio provvisorio del conflitto era di 600 morti e 1480 feriti. Il Partito di Dio (Hizbollah) ne usciva rafforzato e si affermava non più come un movimento politico-religioso bensì come il maggior partito politico sciita.

 

3. Il fallimento delle elezioni. I due Governi.

Nel 1988 incombevano anche le elezioni presidenziali. L’atmosfera pre-elettorale non era percepibile perché la popolazione aveva problemi più importanti e urgenti: la sicurezza, il reperimento di generi alimentari come il latte e la farina, la benzina. Nel settore Est cristiano, il periodo estivo era stato relativamente tranquillo, permettendo alla gente di rilassarsi e di fare qualche bagno di mare negli impianti disseminati lungo le coste.

La banca centrale aveva emesso banconote da 500 e 1000 lire libanesi allo scopo di evitare di portare con se per gli acquisti veri pacchi dei precedenti tagli (5, 10, 25, 50, 100 e 250). I trenta giorni previsti dalla Costituzione come periodo pre-elettorale (23 luglio-23 agosto) trascorrevano senza novità di rilievo. L’Assemblea aveva stabilito il “quorum” per la validità dello scrutinio sulla base dei deputati viventi (76 su 99). I due terzi previsti dall’art. 49, per il collegio elettorale passavano da 66 a 51 deputati al primo turno e a 40 per avere la maggioranza assoluta in un secondo turno e in quelli successivi. Nessuno dei candidati riscuoteva l’approvazione della gente comune e la lista veniva continuamente “rimaneggiata”. Alcune milizie vietavano con forza alcune candidature.La riunione indetta dal Presidente della Camera per il 18 agosto veniva ostacolata dalle Forze Libanesi. Volevano impedire ai deputati cristiani di recarsi in Parlamento, situato nel settore musulmano e far venir meno il quorum. La riunione infatti falliva perché i presenti erano solo 38. Contemporaneamente, in vari settori della zona Est si verificavano scontri e esplosioni di autobomba. Vani erano anche i tentativi del Patriarca maronita di far convergere le preferenze dei deputati cristiani su un solo candidato.

Il 22 settembre, giorno ufficiale delle elezioni presidenziali, 39 deputati disertavano la riunione del Parlamento e le elezioni erano inattuabili. In serata il Presidente uscente Gemayel emanava un decreto, a norma della Costituzione, con il quale nominava il Capo delle Forze Armate, il Gen. Aoun, Capo di un Governo Militare di transizione, al posto del dimissionario Karamé (maggio 1987), retto ad interim dal sunnita Selim Hoss, dopo che Karamé era stato assassinatoil 1° giugno 1987. I Generali musulmani e drusi rifiutavano la carica di Ministri e si recavano in Beyrouth ovest. Selim Hoss, con l’appoggio di Damasco, dichiarava il Governo da lui presieduto come l’unico legittimo. Malgrado le reazioni e l’imbarazzo internazionale, di fatto il Libano aveva due Governi!

Il 24 settembre, i due Governi si riunivano simultaneamente. Aoun nel palazzo presidenziale di Baabda suddivideva i portafogli tra se stesso, il Gen. EdgardMaalouf (melchita) e il Gen. IssamAbouJamra (greco ortodosso). Dichiarava il Governo Militare unico legittimo in quanto nominato con un Decreto presidenziale previsto dalla Costituzione libanese. Hoss, nella sede del Parlamento in Beyrouth Ovest, affermava la propria legittimità e disconosceva il Gabinetto Aoun.

In tutto il Libano cresceva la tensione sul terreno, in particolare al Sud dove erano ripresi gli scontri tra Amal e Hizbollah. Il 19 ottobre, a poche centinaia di metri dalla frontiera con Israele, un attentatore suicida saltava in aria con la sua auto imbottita con 100 kg. di esplosivo, uccidendo otto soldati israeliani. L’attentato era rivendicato dallo Hizbollah. L’esplosivo proveniva dalla Siria. Il 21 ottobre, l’immediata rappresaglia israeliana. Aerei e elicotteri attaccavano le posizioni palestinesi e quelle dello Hizbollah nel Sud e nella Béqa’a. Diciotto missili distruggevano un deposito di munizioni palestinese, mentre i caccia con la stella di Davide centravano numerose postazioni degli hizbollahis. Pesante il bilancio in morti e feriti tra i guerriglieri e ingenti anche i danni materiali.In novembre, nella periferia sud della capitale, riprendevano gli scontri tra le due fazioni sciite (Amal e Hizbollah), con un impressionante crescendo di violenza. Si trattava forse dei combattimenti più duri dopo lo spiegamento, in maggio, delle forze siriane per separare i due schieramenti. Numerose le perdite da parte di entrambi.

Con l’intensificarsi degli attacchi israeliani nel Sud, la ripresa della lotta fratricida tra sciiti, gli attentati e la vana mediazione delle parti politiche e religiose per far cessare le ostilità, il 1988 si avviava alla sua conclusione. L’escalation di autobomba e di sequestri ai danni di cittadini stranieri, consigliava anche il rimpatrio dei familiari dei Corpi Diplomatici accreditati. La mia famiglia rientrava in Italia nel gennaio del 1989.

Senza dubbio la situazione più paradossale (ma il paradosso è una peculiarità libanese!) era la presenza di due Governi, che si dichiaravano entrambi legittimi, in un Paese dove l’autorità dello Stato era stata da anni calpestata ed esautorata da tutti. E non solo per colpa dei palestinesi, della Siria, dell’Iran, del terrorismo islamico, di Israele ma, a mio giudizio, la responsabilità maggiore dipendeva dalle divisioni interne alle comunità, più pronte a difendere i propri interessi piuttosto che quelli del Paese.

La diplomazia internazionale non sapeva quale dei due Governi in carica riconoscere. I due leader, Aoun e Hoss, erano costantemente occupati ad annullare le decisioni prese da uno o dall’altro. La loro presenza, tuttavia, aumentava sempre più la divisione tra l’Est a maggioranza cristiana, alla ricerca del supporto Occidentale, e l’Ovest musulmano, ormai rigidamente pilotato da Damasco e dalla forte intromissione iraniana.Il mio compito principale era quello di fornire alle autorità italiane un aggiornamento costante e dettagliato della situazione militare e politica libanese e, quando possibile, fare anche un bilancio delle vittime della situazione conflittuale. Nel 1988 quest’ultimo era stato particolarmente pesante. Il riquadro in calce, riporta dati piuttosto certi. E’ opportuno ricordare che l’entità numerica delle vittime era essenzialmente quella comunicata da organi quali Croce Rossa, ospedali, ecc. Molti morti però, erano portati via e sepolti prima del loro recupero. Era il caso dei combattenti musulmani e soprattutto degli israeliani, che non abbandonavano mai i propri caduti sul terreno.

AMAL: è l’acronimo di “Alwiyāt al-Muqāwima al-Lubnāniyya”, che significa “Brigate della Resistenza libanese “. Ma AMAL in arabo vuol dire anche “speranza” (è anche un nome proprio femminile), quindi può significare la speranza della comunità sciita di ottenere un proprio riconoscimento politico-religioso, con l’uso delle armi o con lo Jihād (guerra santa). La milizia era il braccio armato del “Movimento dei diseredati”, creato dall’Imam Moussa Sadr il 18 marzo del 1974. All’epoca dei fatti, era diretto dall’avvocato pro siriano NabihBerri e aveva completamente rotto qualsiasi rapporto con i palestinesi, loro iniziali alleati. Berri è tuttora il leader di Amal.

HIBOLLAH: da hiz, partito e Allah= il partito di Dio (Allah). E’ stato fondato a Qom (Iran) nel 1973 dall’ayatollah Mahmoud Ghaffari, ma la sueazioni in Patria o all’estero erano dirette dallo stesso Khomeini durante tutta la sua vita.

Predicatori e milizia giungevano in Libano nel 1982 al seguito dei pasdaran. Il partito si radicava nella valle della Béqa’a, nel Sud e nella periferia meridionale di Beyrouth, inglobando molti sciiti già appartenenti ad Amal. Era diretto dallo SheikhMuhammedHusseinFadallah, e lo è ancora oggi. Esalta il principio del martirio con il motto “non vi è azione più meritoria di sacrificare volontariamente la propria vita per la fede e per distruggere i nemici (gli infedeli)”. Era un alleato (occasionale) dei palestinesi, specie nel Libano Sud, contro Israele.

Continua

La guerra dei “campi” tra sciiti e palestinesi: 2114 morti e 6893 feriti tra le fila di Amal. 358 morti e 1567 feriti in quelle palestinesi. Il dato era relativo all’intero periodo di conflittualità.

-gli scontri tra Amal e Hizbollah: 434 morti e 1675 feriti, globalmente.

le vittime palestinesi dei raid israeliani: 87 morti e 156 feriti (solo palestinesi).

gli scontri israelo-palestinesi nel Sud: 34 morti, 19 feriti e 9 dispersi (solo palestinesi).

gli scontri tra israeliani e Hizbollah:49 morti e 39 feriti (solo hizbollahis).

-le posizioni siriane in Beyrouth ovest e nella Béqa’aerano state oggetto di 220 attentati. 7 soldati morti e 40 feriti.

-gli attentati all’esplosivo (autobombe e attentati dinamitardi) sono stati 3127 con l’impiego stimato di 20.688 kg. di esplosivo. Avevano provocato 178 morti e 348 feriti.