Tornando a parlare del nostro “pizzo”

ripartendo da poco tempo fa,

quando “il sopra e “il sotto hanno una storia comune

 

……i movimenti sottosopra del pizzo

di Nunzio Seminara

 

 

In epoca non recentissima, ma significativa per la storia di oggi perché riguarda un problema ancora irrisolto, cioè nel 1862, vi fu una frana disastrosa che fece scomparire del tutto alcune costruzioni a ridosso della parte bassa dello sperone di Monte Echia (vv. immagine ripresa dalla stampa del tempo), e quindi un “padiglione militare” che era sulla sommità fu demolito per l’instabilità delle sue fondazioni (vv. immagine successiva).

Il “presidio Militare” era costituito dagli ex quartieri militari

di Pizzofalcone , poi “Caserma Vittorio Emanuele II”, l’attuale “Nino Bixio”

 Il Genio Militare, che fin dal Regno Borbonico aveva una validissima tradizione, redisse diverse perizie, per accertare se il grave dissesto fosse stato causato da un’errata costruzione delle murature di sostegno o da scavi eseguiti nelle cavità sottostanti (le già citate “visite” per il reperimento di materiali lapidei o terrosi) o da infiltrazioni di acque piovane, ovvero interne, per l’ubicazione di edifici che avevano, necessariamente, impianti di scarico dei servizi che dovevano confluire in canali o condotte non idonei o fatiscenti.

 

Disegno che descrive con maggior dettaglio della sommità in prossimità del “pizzo”,

sulla Via Chiatamone verso S. Lucia, che presenta sia il “presidio militare” sia edifici

prospicenti su Via Chiatamone.

 

Nel disegno sovrastante si notano le uscite sulla Via Chiatamone e le diramazioni all’interno, dove sono evidenti i collegamenti in verticale di servizi del complesso edilizio sovrastante (cucine e gabinetti, che necessitavano di scarichi verso il basso): la pianta, ritrovata fra i documenti dell’avvocato Giuseppe Barreca che pervennero all’ Archivio di Stato di Napoli tra il 1960 e il 1961. Il rilievo descrive la situazione che forse presupponeva una serie di lavori che interessavano i servizi igienico-sanitari dei corpi di fabbrica in prossimità del “pizzo” (edifici militari) fino ai loro collegamenti nella rete di scarico che era in basso sulla Via Chiatamone.

Possibili perdite di acque di scarico hanno verosimilmente determinato dissesti idrogeologici per le fessurazioni incontrollate nella massa tufacea, peraltro discontinua per le “visite” dovute agli scavi già menzionati eseguiti da parte di privati.

Inoltre, in alcune perizie, risultò che le murature perimetrali del “pizzo” di Monte Echia, valide come protezione del terreno a ridosso del declivio, non fossero dimensionate con la funzione di strutture portanti.

Comunque il versante, ai diversi livelli,era articolato in una continuità di aggregati edilizi di varia tipologia, anche con la presenza di percorsi urbani complessi, come le ripide rampe che fiancheggiano e superano il forte dislivello (circa 50 metri) con molti tornanti.

  

 

  Le rampe di risalita su Monte Echia da Via Chiatamone

 

(da napoliflash24hit)

L’ingegnere Alfonso Guerra, dopo il grave evento del 1868, redisse una planimetria generale con l’ubicazione delle cavità rilevate e allegato schema dettagliato delle proprietà dei singoli edifici. Furono anche posizionati gli accessi che immettevano nei cunicoli esistenti ed una attività capillare di rilevamenti mise in evidenza parecchie cavità nel “sotto” di Pizzofalcone.

 

 

(dall’ Archivio di Stato di Napoli)

 

Planimetria dei luoghi (dall’Archivio di Stato di Napoli)già pubblicata

Nell’edizione di febbraio 2016, dove si vede la preminenza del presidio militare e, a destra,

sull’estremità, il manufatto che fu demolito. In basso il profilo dell’edificio della Panatica

 

I disegni riportati di seguito, invece, rappresentano i rilievi che certamente riguardavano il progetto di consolidamento.

Comunque ogni intervento in quell’area è stato realizzato con interventi di “contenimento-strutturale”, anche se numerosi progetti furono proposti per rivitalizzare quell’estrema terrazza sul Golfo.

 

 

Disegni del consolidamento del costone 

Prima di descriverli, per completare l’analisi che qui è trattata, è necessario soffermarci su gli altri fenomeni di dissesti importanti che hanno interessato la zona di Via Chiaja, anche questa, la parte opposta all’area del “pizzodel belvedere su S. Lucia e Chiatamone, costituita da una maggiore consistenza di strati di terre incoerenti di natura tufacea e pozzolanica.

Un’ altra recentissima frana si è verificata durante i lavori per la realizzazione della MetroNapoli, la Linea 6, nei pressi di Via Chiaja. Il dissesto fu ritenuto, così sembra, di natura espressamente idrogeologica, ma probabilmente cedimenti “sparsi” nel sottosuolo, dovuti alle perforazioni per l’esecuzione dell’infrastruttura, potrebbero essere stati una concausa.

Del resto tali inconvenienti, che oltre tutto portano ritardi nelle esecuzioni dei lavori, sollevano anche polemiche spesso faziose e sterili.

 

Però vale ricordare che questi fenomeni critici nei terreni si verificano nelle aree meno stabili e, come accennato, e come rappresentato negli schemi esposti in precedenza, dove il consolidamento dello strato superiore del tufo litoide, cioè il cappellaccio, non si è stabilizzato del tutto: le precarie situazioni idrogeologiche verso Via Chiaja e l’esposizione “aperta” agli effetti di erosione ambientale sono però motivi che sono ricorrenti in zone della stessa conformazione geologica.

Invece il versante del quartiere Pallonetto-San Ferdinando, che è intensamente edificato,

e che, forse, per il declivio costante non è costituito da prevalenti formazioni tufacee-litoidi del sottosuolo, è “protetto dal cemento”, quasi una metafora, senza però affermare che potrebbero formarsi fenomeni imprevedibili per diffuse o concentrate infiltrazioni di acque bianche o nere (fognantizie) di impianti fatiscenti, pubblici o privati.

Sempre nello schema grafico citato, il versante della Via Calascione, è decisamente “tagliato” perpendicolarmente ed è visibile lo stato consistente del cappellaccio.

  

Affaccio ripreso dalla fine di Via Calascione con l’evidenza del prospetto “a picco” della Nunziatella

 Particolare della “sostruttura” geologica sul versante “Calascione” 

 

Occorre però fare le seguenti riflessioni.

Se si parla di infiltrazioni, nel confronto fra la prima planimetria censuaria di Napoli

(Giovanni Carafa Duca Di Noja, 1775), l’area che riguarda Pizzofalcone, dove sono presenti vaste aree di giardini o terreni coltivati, e dove c’erano vasche di raccolta e di irrigazione o di servizio ai fabbricati, e lo stato attuale visibile in uno stralcio da “google-map”, evidenziano come il verde sia pressoché scomparso.

L’acqua filtrava naturalmente nel sottosuolo nelle aree a verde e sia le acque delle vasche di raccolta e di irrigazione, tuttora esistenti a diverse profondità dalla superficie, sia quelle degli scarichi assai spesso non manutentati, scendevano nel sottosuolo, incontrollate o indirizzate in cunicoli nel tufo, e quindi si disperdevano senza regole.

 

 

La planimetria del Duca di DiNoja.

Aree “verdi” (1775)

 

Stato attuale dei luoghi

 

Va comunque rilevato che il 1862 fu l’anno del primo intervento urbanistico moderno in Italia, adottato proprio a Napoli, riguardava il “risanamento” igienico della città.

Ma al “risanamento”, parola che fece da manifesto a moltissime iniziative urbanistiche fino ai primi anni del secolo scorso (il 1900…… : sembra lontano, ma è così vicino!) seguì una diffusa edificazione e, lo stato dei luoghi è diventato, azzardando senza esagerare, più coperto e perciò più impermeabile.

Sarebbe proprio il caso di affermare che l’edificazione si sia trattato di un “risanamento cementizio”, naturalmente espressione ironica, ma senza dubbio realista. 

Quando l’ing. Guerra si occupò delle prime indagini su Pizzofalcone (dopo il 1868), “sotto” Pizzofalcone riscontrò come furono realizzate le vie di accesso sulla Via Chiatamone ed i percorsi esistenti nelle cavità che avevano, in parte, compromesso la staticità del “pizzo”.

Esplorò la rete dei cunicoli esistenti, realizzati alcuni anni prima (vv. più avanti sull’Architetto Errico Alvino), che avevano una volta a trapezio, efficacissima dal punto di vista strutturale che, data la necessità di essere realizzate in continuità, evidenziavano un processo costruttivo particolarmente agevole nelle lavorazioni in zone assolutamente complesse e che risolveva quello con la stessa efficienza statica della classica “volta ad arco”, cioè “a botte”.

 

 

Volta trapezoidale

 

Solo in alcune zone, limitate, era stata usata la soluzione ad arco, ma in casi parziali, come contrafforti distanziatori di varchi-parete contrapposti (nel gergo tecnico: “archi di spinta”) fra passaggi (“varchi”).

 

 

Soluzione della volta ad arco

 Alcuni di questi rilievi furono ripresi da un gruppo di giovani guidati da Francesco Venezia, architetto di grandissima risonanza culturale, eseguiti a corredo di una lezione avente per tema le grotte e l’architettura tenutasi nel maggio del 1982 a Napoli pubblicato nell’edizione n. 681 di “DOMUS” del marzo 1987 e che qui si riportano.

  

 

 

DOMUS n. 681 del 1987 . Sezione longitudinale A di Pizzofalcone. Rilievo del gruppo di Francesco Venezia, 1982 (n.d.r.: il disegno è certamente ripreso da rilievi della metà del 1800, infatti nella parte centrale spostata a destra, le due costruzioni “a torre” furono unite da un corpo di fabbrica intorno al 1870 per realizzare la “cavallerizza” della Nunziatella, l’edificio sovrastante)

 

 DOMUS n. 681 del1987 .Sezione trasversale B di Pizzofalcone.

Disegno del gruppo di Francesco Venezia, 1982

 

 DOMUS n. 681 del1987 .Altre sezioni – prospetti trasversali di Pizzofalcone.

Disegno del gruppo di Francesco Venezia, 1982

 

Prendendo in esame uno stralcio della sezione longitudinale redatta dal gruppo dell’Architetto Venezia, si pone l’attenzione sulla cavità rappresentata, di cui per ora non si può descrivere la sua reale conformazione, ma si è in grado di individuarne l’esatta ubicazione, oltre a ritenere che sia analoga a quelle di alcune immagini di repertorio (n.d.r.: tanto si afferma per esperienza personale – primavera 1963).

 

Stralcio della sezione A longitudinale: in evidenza il “pozzo”

 

 

Probabile ubicazione del “pozzo”

dell’immagine precedente, quasi sottostante la Chiesa della Nunziatella

 

Foto di uno dei “pozzi”, (“a campana”) riproposto da internet fra le immagini

di repertorio sulla Napoli Sotterranea, del tipo di quello dellaSezione A

 

Nell’immagine precedente si notano fori e tracce di acque di scarico in prossimità delle cavità laterali, in particolare quella centrale, la più importante, che derivano da percorsi collegati con edifici o aree non impermeabilizzate sovrastanti, siano esse di giardini privati (oggi pochi) sia di impianti non manutentati, ma anche di superfici interne ai fabbricati (corti e cortili), che presentano pavimentazioni assorbenti” e che non garantiscono il deflusso di acque piovane in condotte idonee e che andrebbero verificate in superficie, non solo “sotto”: il degrado degli effetti si preserva sempre nella eliminazione delle cause primarie.

 

Un primo percorso in salita, cui si accede dalla Galleria Vittoria (a circa 65 metri dall’ingresso di Largo Morelli), dopo un paio di deviazioni porta in una grande cavità “a cupola” in cemento armato, quasi coincidente ma senz’altro invasiva al “il pozzo” delle due immagini precedenti, dove in tempi recenti è stata realizzata una grande stazione di pompaggio della rete fognante (vedere immagini seguenti).

Oggi è in disuso.

Resta un’opera di questi tempi che si contrappone, senza l’artistica mano dei muratori di Errico Alvino (più avanti citato con maggiori argomenti), all’opera sotterranea di Napoli che la sua storia di città ci tramanda.

Il cemento armato della grande cupola, se ripulito dall’abbandono, così come lo “stanzone”, o “caveau “, potrebbe, a noi posteri, restituire una dignità ad un’ennesima cattedrale.  

 

Primo tratto rettilineo per l’accesso

al caveau della stazione di pompaggio

 

Il caveau della stazione di pompaggio:

la grande cupola è appena visibile

 

Già, “la Cattedrale sotto la Chiesa”.

Ecco che la storia “sotto” Pizzofalconesi arricchisce di altre vicende, da impluvio sotterraneo di acque di scarico, al percorso “di servizio” per una via veloce, ovvero via di fuga…., verso il mare, dalla raccolta di acque a servizio delle costruzioni in superficie “a cielo aperto”, a cava per la raccolta di materiale da costruzione.

Ma anche negli anni della seconda guerra mondiale, a ricovero dei napoletani al riparo dai bombardamenti, al magazzino-armeria della Resistenza, al deposito di materiali di sgombero e di risulta delle costruzioni del dopoguerra,

 

 

al deposito giudiziario di mezzi e veicoli sottoposti a sequestro negli ultimi decenni del ‘900 e mai rimossi fino agli ultimi anni del 1990.   

 

E, come per la stazione di pompaggio della rete fognante, fino all’opera pubblica abbandonata, anche qui sotto. E sulla quale torneremo.