GRANDE ELA GUERRA !

ROMA CAPUT MUNDI

di Nunzio Seminara

 

Infatti. se tutte le strade portano a Roma, anche da Roma partono.

La Roma dei Castelli, l’area vulcanica del duro “cappellaccio pozzolanico che circonda la Città Eternae circoscrive il territorio delle gite “fuori porta”. Da dove, fori de’ porta, proprio dal castello di Marino non si vive di sola “sagra dell’uva”, come la celeberrima canzone romanesca.

Perché la Storia narra che lì i visse la sagra dell’entusiasmo libertario. Un repetita forse del 1848, quello della Repubblica Romana sull’onda lunga, chissà, di quella della Napoli del 1799, di 50 anni prima. E di 100 anni fa. Già, del 1914, quando gli italiani furono anche loro fra i primi a guerreggiare.

Allora non cominciò per noi nel 1915, il 23 maggio, la “sagra di sangue” della Grande Guerra? Non proprio. Ma, quasi nove mesi prima, sì. Già, zitti zitti gli italiani si diedero da fare fra i primi.

Il 28 luglio del 1914, il 30esimo giorno dopo l’attentato di Sarajevo, l’Impero Austro-Ungarico dichiarava guerra al Regno di Serbia,e proprio quel giorno, dal ridente “castello” di Marino nei pressi di Roma,Cesare Colizza, un suo cittadino,un po’ repubblicano, un po’ anarchico, un po’ massone, così viene descritto in “I PRECURSORI”, di Antonino Zarcone (Edizioni ANNALES, 2014), insieme con il fratello maggiore Ugo e il loro amico Mario Corvisieri, decide di costituire un gruppo di volontari per partire in guerra contro la Serbia.

 

E, ai fratelli Cesare ed Ugo Colizza con Mario Corvisieri si uniscono un altro loro concittadino, Francesco Conforti, il viterbese Nicola Goretti ed il siciliano Vincenzo Butta. Tutti affascinati dall’avventura irridentista e dal sacro furore giovanile, con “l’intenzione di offrire la vita per la rivendicazione delle terre irridente e con la speranza che l’esempio fosse imitato e servisse a scuotere la coscienza della gioventù italiana”, co scrive Zarcone.

 

Cesare Colizza

 

 

Ernesto Butta

 

Quel giorno, come citato, la guerra cominciava, destinata contro le previsioni della vigilia a diventare “Grande”. Non c’era l’internet ed i sistemi infernali di oggi sull’etere. Neanche segnali di fumo. Ma i giovani dell’Italia appassionata, come sempre nella sua Storia, sentono, forse come “la primavera mediterranea” di un paio d’anni fa, un segnale dell’empatia telepatica, o viceversa, che navigava in Europa, esi animarono di entusiasmo ed approntano furtivamente indumenti e poche risorse, e il giorno dopo, il 29 luglio, raggiungono Bari quindi Brindisi per imbarcarsi clandestinamente sulla nave “Mixhae”. Qui il comandante li scopre, ma li ha in simpatia e comunque fa loro pagare il biglietto.

Arrivano in Grecia e con peripezie, il 9 agosto arrivano in Serbia da dove scrivono cartoline ad amici e parenti, scrivendo messaggio di enfasi retorica e battagliera (“morituri te salutant).Qui, però, la perplessità dell’humus del libro.

Non s’è accennato della premessa, assai lunga per essere tale.

Dopo una introduzione di Anita Garibaldi Jallet, ultima discendente di prestigio della “stirpe” Garibaldi, seguita dal suo curriculum e da quello interessante dell’autore, il Ten. Col. Antonino Zarcone, una 25ina di pagine parlano della situazione italiana ed europea che facevano da cornice al cambiamento epocale di quei tempi e della ineluttibilità della guerra. Quale humus.

Fra le cartoline, quella di Mario Corvisieri ad un suo amico, tale Camillo Marabini, compagno di loggia di Ugo Colizza, uno dei sette volontari.Ecco che formalmente, potremo affermare, il ruolo dell’animo massonico del gruppo dei sette viene introdotto dal Zarcone.

Già nell’introduzione v’è il riferimento continuo alla presenza della massoneria nella scena italiana di quegli anni. E non a caso vediamo che la stessa copertina del testo la evidenzia simbologicamente, oltre a citarla di continuo.

Sempre nelle prime pagine del teso, oltre a descrivere le tormentate vicende politiche ed i primi rivolgimento sociali che maturavano in quel passaggio fra il 1800 ed il 1900, molti riferimenti vengono fatti sulle convulse fasi che preparano la deflagrazione della Grande Guerra.

Francesco Conforti

 

Così questa testata,pizzofalcone,pubblicava lo scorso febbraio:

“…………..Passaggio epocale dell’Era della seconda Rivoluzione Industriale nell’ultimo secolo del secondo millennio. Dal romanticismo ottocentesco, per noi risorgimentale, alle prime fonderie del nuovo secolo; dall’economia dello scambio di merci e dei prodotti manifatturieri della prima Rivoluzione Industriale degli stati nazionali a quella speculativa dei colonialismi, quando le masse operaie di casa propria cominciavano a farsi sentire, per il lavoro che cambiava e che mancava nelle campagne; dalle monarchie costituzionali a quelle più liberali e “democratiche”, già pervase dal nascente socialismo delle classi meno abbienti.

 

E, a seguire:

“Quella” Grande Guerra, accesa nei due schieramenti dagli interventismi nazionalisti, “usati” dai demo-massonici (n.d.r.: espressione crociana), invano contrastati dai pacifisti socialisti rivoluzionari.

Nei fronti opposti: da un lato il socialismo emergente che voleva collettivizzare la proprietà privata, ma che sceglie l’interventismo, assonante con la grande industria dei potentati massonici per garantire il lavoro alle nuove masse operaie che invadevano le città provenienti dal mondo contadino, dove i latifondi erano sempre più deserti, e dall’altra parte quei socialisti della rivoluzione del proletariato, pacifista, che voleva annullare gli stati nazionali.

In mezzo agli schieramenti la trasformazione della politica, che dall’autoreferenzialità monocratica delle monarchie ereditarie cerca di mantenere il primato nell’autoreferenzialità elettiva. Anzi, partecipa e favorisce i dibattiti pubblici e diffonde comportamenti per la partecipazione popolare alle spese di guerra.

Dai soldati volontari appassionati per i ferventi patriottici, al volontariato “azionista” e solidale al gran richiamo della Patria!

 

Perciò questo giornale, pizzofalcone, non è lontano dai molti richiami alle turbolenze di quegli anni.

Ma certamente non è assonante con l’affermazione che Antonino Zarcone fa sulla morte di Alberto Pollio, anche da lui, storico militare, archiviata come causata da “un malore al cuore e che fosse “ingiustificato” il sospetto di un complotto fra servizi militari italiani e stranieri dell’Intesa, lo schieramento politico di Inghilterra e Francia, “in combutta…per eliminare un sostenitore della causa Triplicista”, che vedeva dal 1882, con già quattro rinnovi, l’Impero Germanico, quello Austroungarico e il Regno d’Italia.

Non v’è sospetto”, ultima e laconica affermazione sulla morte di Pollio.

Eppure “il sospetto” viene da 13 anni di studi e ricerche militari approfondite di Giovanni D’Angelo (“La strana morte del Tenente Generale Alberto Pollio”, Gino Rossato editore), vedi pizzofalcone di maggio 2016, archiviate così semplicisticamente da Zarcone, storico militare (però in buona compagnia con il più celebre Sergio Romano, molte volte estimatore della Storia di Francia).

Quel Pollio che si attivò, come lo stesso Zarcone cita, per realizzare le fortificazioni nel Veneto richieste dal Ministro della Guerra Ottolenghi nel 1908. E come si attesta che siano state eseguite, quelle fortificazioni, come si legge in “Dall’Isonzo al Piave”, ultima e recentissima opera dello stesso Zarcone con Aldo Alessandro Mola, edito dallo Stato Maggiore Esercito, quando per approntarsi tatticamente nella difesa sul Piave dopo la ritirata di Caporetto, quelle opere di difesa vengono “disarmate” sul Tagliamento fatte realizzare da quel triplicista Alberto Pollio. In quell’area, non certamente per contrastare i francesi!

Pollio, triplicista finché vi/ci pare, ma rigoroso studioso di arte militare che non trascurava le tattiche di preparazione in tutti gli eventuali scenari di guerra.

Ma, se triplicista, non poteva che essere scomodo a chi in quegli anni muoveva spiriti contrari alla Triplice e favorevoli alla Francia, che, secondo Zarcone, erano rappresentati da “frange dei socialisti, repubblicani, i radicali, i sindacalisti rivoluzionari, la Massoneria del Grande Oriente d’Italia o di Palazzo Giustiniani.

E come il Direttore e in pratica il fondatore de “Il Corriere della SeraLuigi Albertini, colui che divenne amico e grande estimatore del Gen. Luigi Cadorna, appoggiava l’interventismo estero di Inghilterra e Francia contro il “modernismo moderato interno di Giovanni Giolitti che sembrava neutralista tanto da contrastarlo duramente con un radicalismo elitario, secondo gli storici Castronovo e Tranfaglia (“Colonia Italia”, di M.J. Ceregliano e G. Fasanella, Ed. Chiarelettere).

 

E, con un po’ di sorpresa, se si mette in risalto lo sgomento pubblicato su “il Mattino” di Napoli alla notizia delle dimissioni del Gen. Gustavo Fara dalla Massoneria nell’apprendere che un “magnifico soldato”, medaglia d’oro a Sciara Sciat quando comandava l’11° Reggimento Bersaglieri, fosse segretamente massone, non ci si spiega come mai l’essere massone era quasi un costume fra tutte le gerarchie militari e civili fino ai primi del ‘900.

E che fino ad allora non era affatto un segreto.

Che, invece quell’appartenenza venne formalmente messa al bando urbis et orbis senza equivoci, fin dai funerali di Umberto I (12 agosto 1900), quando furono escluse le presenze dei massoni e loro rappresentanti nel cerimoniale del rito funebre (A.A. Mola, Cuneo, convegno Centro Studi Giovanni Giolitti, 28-29 settembre 2016).

Quel Gustavo Fara aveva saggiamente ubbidito ad una disposizione che certamente era stata diffusa nell’Istituzione Militare.

Niente di segreto, perciò, perché era quasi una consuetudine in atto fra i militari.

Sempre pizzofalcone l’ha riportata per Domenico Mondello, il Generale Nero che raggiunse persino il massimo grado 33 massonico. E come ha riportato, quanto già è diffuso in tutti i testi storici, la militanza massonica di figure certamente note e importanti come Armando Diaz e Pietro Badoglio.

Sorpresa di quei giorni per un giornalista?

Non sarebbe stato meglio un commento positivo per la trasparenza e la lealtà di un soldato?

Ma, in questo libro, non possono non rilevarsi alcune citazioni che, se per un verso denunciano alcune verità dimenticate o, purtroppo nascoste e, in verità,maldestramente archiviate come gli episodi di rivolte di massa antimilitarista che volevano far abolire le “compagnie di disciplina” (formazioni militari alle quali vengono assegnati militari colpevoli di atti di indisciplina, di sovversione e/o di appartenenza ad apparati ovvero associazioni contrari alle Istituzioni), per come vengono esposte evidenziano subliminalmente una critica politica di un militare ad una Storia che non è più militare soltanto, perché riguarda un atto di accusa verso un ordine costituito.

E il caso menzionato era quello di militari di leva che avevano sparato ad un Colonnello perché, forse anarchici, non volevano partire per la guerra italo turca, nella Caserma Cialdini di Bologna il 30 ottobre 1012.

Era una Costituzione Albertina da censurare e condannare?

Come ci si sarebbe comportati se, nella vigente Costituzione Italiana, repubblicana, un obiettore di coscienza e/omilitare di leva avesse sferrato uno schiaffo, non se avesse sparato, ad un semplice sottotenente o sergente, mentre era di guardia ad una polveriera in Alto Adige nel 1960, o nel 1982 in Libano, o, fino ad appena 12 anni fa, fino agli ultimi militari di leva, in una qualsiasi caserma?

Quale sarebbe, oggi, un commento leale?

E’ questa una riflessione che nelle ragioni della Storia devono rivedersi le storie che la completano (sempre A.A. Mola nel convegno già citato), perché è questo un processo onesto di comprensione e chiarimento verso la Storia stessa. Scopo del vero storico. Specie se, militare, parla di Storia Militare.

Non è militarismo questo. La Storia è prima esposizione delle verità, poi è interpretazione onesta. Non fuorviante, per quanto adesione ad una ideologia o ad una visione di parte.

 

La premessa al libro è “lungamente breve”, una 30ina di pagine che preparano alle altrettante pagine di esaltazione, giusta, ai ferventi veramente esaltanti di giovani sconosciuti alla vulgata della Grande Guerra.

 

Giovani che, come in tutte le epoche, sono alimentati da spiriti non ribelli ma leali verso ideali naturali nella limpidezza degli anni delle speranze e dei sogni.

Muoiono a Babina Glava (traduzione di Testa di Vecchia) quei giovani.

Per primo Cesare Colizza,eretto in tutta la persona grida Viva l’Italia, fra le braccia del fratello Ugo. “Italia” di quale “Patria”?

Nello stesso scontro con gli austriaci cadono con valore Corvisieri, Conforti, Butta e Goretti.

 

Ugo Colizza, con una altro volontario italiano a loro affiancato in quel reparto militare serbo che li accolse, un certo Polli, e più tardi Arturo Reali, tornano in Italia meno di un mese dopo del loro viaggio verso la gloria, il 24 agosto.

 

Ugo Colizza

 

Dopo diverse pratiche “esplorative” da parte delle Istituzioni che vollero conoscere meglio la loro storia, furono inquadrati in reparti militari, Augusto Reali nel 2° Reggimento Bersaglieri e Ugo Colizza nel 51° Reggimento di Fanteria “Alpi”, erede dei “Cacciatori delle Alpi” garibaldini. Il primo, ferito ad Oslavia ad una mano, viene messo a congedo. Ugo Colizza prosegue “a guerreggiare”, merita due medaglie di bronzo in diverse e successive fasi della guerra, diventa ardito, “Ardito fra gli Arditi”, più volte ferito,viene promosso ufficiale e guadagna gradi e incarichi politici a seguire anche come appartenente alla milizia fascista, viene “indiziato” nel dopoguerra del 1943 come “Console” della Milizia. Non ebbe seguito alcuna epurazione effettiva perché Ugo Colizza morì il 15 aprile del 1946. Un mese e mezzo prima del referendum del 2 giugno.

Mentre Arturo Reali morì il 23 luglio 1966.

I sette di Babina Glava furono premiati con la massima decorazione al valore serba, paritetica della nostra Medaglia d’Oro. In diverse circostanze, fino al 1938, si cercò di dare ufficialità e riconoscimento istituzionale a queste decorazioni. Ma proprio la peculiarità della “extraterritorietà militare”, per quanto commendevole per ideali e spirito di lealtà alla lotta per la libertà, non si poté andare oltre un riconoscimento ufficiale che venne celebrato con targhe-monumento in loro ricordo in Serbia e in Italia, proprio a Marino, il “castello romano” di partenza dei volontari.

La stele ricordo a Belgrado

 

Babina Glava è certamente parte della Storia degli Italiani. Ma anche dell’Italia che anela alla verità degli ideali. Molte citazioni dell’Italia chiamata “Patria” da Zarcone. Giustamente. Ma non è proprio forse la “Patria” di italiani.

Tanto il dubbio che assale quando la citazione del volontario “Palmiro Togliatti il Migliore” viene riferita alsoldato della Grande Guerra conferendogli perciò un apprezzamento di valore, a quell’uomo politico che chiamava gli italiani alla lotta contro il fascismoper la libertà della Patriae che rinunciò alla cittadinanza italiana quando risiedeva in Russia,e che non è dato di sapere quale fu il suo pensiero quando, fra i Costituenti del 1948 venne a sapere, chissà se non prima di tanti!, il contenuto dell’articolo 16 del trattato di pace del 1947.

Cioè quello che riservava indulgenze per coloro che avessero dimostrato opposizione al governo dal 1940 al 1943.

Momento drammatico della nostra Vera Storia, che merita un approfondimento quando portò ad assoluzioni ed a riconoscimenti anche alle delazioni, oltre che alle defezioni dei militari, allontanandoli dai valori delle stellette che portavano.

Pagina oscura dei sentimenti verso il senso del rispetto anche verso sé stessi e verso i “vicini di branda e del rancio e delle sventagliate di mitraglie e di suoni di bombe e dei vessilli così falsamente onorati”: non c’è politica né ideale che possa apprezzare queste decisioni degli uomini.

E’ quella in copertina, “la Patria” invocata in maiuscolo dal volontario Togliatti, quella di Giuseppe Pelizza che apre lo sfondo sulla Piazza di Volpedo dopo, forse, il celebre discorso di Giovanni Giolitti del 1901 quando annuncia l’avvento del “Quarto Stato”, quello dei lavoratori?

Oppure è quella invocata da Ernesto Nathan, Grande Maestro del Grande Oriente d’Italia che nel 1919 proclama agli Italiani l’estraneità della sua Associazione di Liberi Muratori all’esclusione imposta dal Presidente Americano Wilson, massone di evidente altra “Loggia”, all’Italia per la concessione delle terre irridenti d’Istria, per le quali anche i puri Eroi di Babina Glava avevano rincorso e raggiunto la morte per raggiungerle?

Di quale “Patria” era quel manifesto che, rivolgendosi alla Nazione come fosse lo schieramento formale della portata di un partito politico, ritornava all’ufficialità negatanove anni prima al popolo degli italiani, e dei giornalisti…..?

 

 

Ma non va elusa l’altra 30ina di pagine del libro che parlano di altri volontari, quello del Reggimento dei Garibaldini, che nell’estate del 1914 intese combattere a fianco dei Francesi contro gli austriaci.

Ricciotti Garibaldi, all’entrata in guerra della Francia con l’Austria, come 44 anni prima contro la Prussia, mette a disposizione della Francia una formazione di 20-40.000 garibaldini volontari da affiancare al suo esercito.

Ricciotti Garibaldi

 

La proposta non viene accolta per l’età avanzata, così sembra, del “proponente”.

Più tardi, i due figli di Ricciotti, Giuseppe detto Peppino e Ricciotti junior, ai quali si affianca il fratello Bruno proveniente da New York, decidono di seguire l’idea del padre.

La mobilitazione si diffonde. In Francia, dove risiede una ragguardevole comunità di italiani (un milione?), e in Italia, dove molti volontari, garibaldini e “fratelli” massonici del Grande Oriente, in sintonia con il Grande Oriente di Francia, vengono sollecitati dalla vocazione alla fratellanza ed alla libertà di Francia.

L’esempio di Babina Glava è ricordato con molto rispetto e sentita riverenza.

L’esaltazione si diffonde fra “i reclutati: pittori, professionisti, ex combattenti in vari conflitti nel mondo, decorati con medaglie d’oro, futuri partigiani resistenti, nomi illustri di quegli anni e degli anni a venire. Reduci di Mentana e di Adua. Un quindicenne, Bruno Gatti di Genova. Un sedicenne, un “certo” Curzio Malaparte.

Che Legione!

Uniforme francese, con camicia rossa sotto, per farla vedere agli austriaci. Vecchi e cari nemici da combattere come ieri.

Circa 5mila uomini. 5 battaglioni.

I fratelli Garibaldi, con Sante e Costante, si riuniscono.

Molti scontri dal dicembre 1914.

Intanto si profila la guerra anche ufficialmente dell’Italia a fianco dell’Intesa.

Mussolini invia ai Garibaldi le tessere di Fasci della rivoluzione, mentre in Italia i ferventi a favore degli interventisti accomunano radicali, repubblicani, sindacalisti, massoni.

Muoiono in scontri violenti i fratelli Bruno e Costante Garibaldi.

L’avventura delle Argonne ha breve durata ma grande onore e la spedizione garibaldina si scioglie il 7 marzo del 1915 e dall’aprile successivo fa rientro in Italia.

La prossima puntata è la guerra fra le fila dell’Esercito Italiano.

I riconoscimenti francesi all’onore dei combattenti non va oltre le croci al merito.

Anche se formalmente in divisa militare francese, l’“extraterritorialità” militare vincola l’atto militare della decorazione al rispetto “amministrativo istituzionale”.

 

Non è stato un rifiuto dell’Italia verso gli Eroi di Babina Glava, come non è un rifiuto della Francia agli Eroi delle Argonne.

E’ norma Istituzionale verso l’extraterritorialità” militare.

 

Il libro poi chiude, un po’ a lungo, con circa 200 pagine di curricula di personaggi citati.

200 pagine di curricula. Forse troppi per descrivere quelle vere di Babina Glava e dell’Argonne, ma, forse le più significative della prima 30ina, quella dello scenario sociale, culturale, politico e, per lo più, massonico.

 

, tutto fa Storia!

 

Ma un’altra pubblicazione parla di quei fatti.

Anche “Informazioni della Difesa”, l’edizione dello Stato Maggiore della Difesa, pubblica un tomo sui “GARIBALDINI DELLE ARGONNE, a firma Piero Crociani, edito a marzo 2015.

 

 

L’introduzione è del Generale Claudio Graziano, Capo di Stato Maggiore della Difesa.

Intervento asciutto che però con saggezza ed onestà cede e si concede al rispetto degli Eroi di BabinaGlava, ma che approfondisce il senso della consistenza del valore Istituzionale dell’impegno della macchina amministrativa di un Paese in armi quando si muove nel processo della complessa macchina da guerra.

Questa la sfumatura dietro e sotto le righerisponde, un anno dopo, all’anteprima de “I Precursori”, che stranamente proviene un po’ dalla stessa “casa madre” dell’Esercito, l’Ufficio Storico.

 

Lo Stato Maggiore Difesa, afferma il Generale Graziano, ha supportato la pubblicazione“….affinché i contenuti di impegno ideale, antesignani di uno spirito di solidarietà tra popoli di nazioni diverse del vecchio continente, non si perdessero nelle pieghe della Storia”.

Quando, cioè, le pieghe della Storia sono anche quei percorsi critici che vengono bell’apposta cercati e amplificati per affermare ipotesi precostituite e cercare consensoall’esterno delle rigorose valutazioni storiografiche. E gliafflaticon le muse delle ideologie.

 

La Storia delle Argonne di quest’altra pubblicazione non si discosta daI Precursori”, ma sottolinea la celebrazione di Lazzaro Ponticelli, l’ultimo superstite di quell’avventura di onore, che poi si arruolò negli Alpini, che ritornò in Francia con pochi soldi, quando non sapeva né leggere né scrivere e divenne un imprenditore di successo, e che dedicò la sua vita di lavoro alla seconda Patria, la Francia, dove era stato arruolato nel 4° Reggimento di Marcia del 1° Reggimento della Legione Straniera per combattere, in quei lontani primi mesi di guerra, contro il nemico suo e dei francesi.

Lazzaro Ponticelli

 

Accettò, in vita, l’unico riconoscimento di quei giorni quale ultimo superstite dei funerali di Stato, dedicatigli dalla Francia alla sua morte, all’età di 110 anni.

 

I Funerali di Stato in Francia per Lazzaro Ponticelli

 

 

Vale menzionare, aconclusione di questi ricordi della sagra dionore degli onori fa da cornicel’aforismadi Alessandro Lungo, volontario garibaldino, riportata sul retro copertina de “I Precursori, un po’ iperbole un po’ idealista:

Io, antimilitarista, sono qui a combattere, con la spada, l’ultima battaglia contro il militarismo, inno surreale alla strategia del cotroverso, che non aiuta a scrutare nel militarismo, perché lo condanna aprioristicamente senza scrutarlo con onestà e con umiltà. Anzi, lo priva della dignità di chi ne ha fatto la bandiera della lealtà verso la propria Storia e quello del Paese, che è Patria, per la quale molto sangue ha versato.

 

Forse per questol’aforisma è citatonelretrocopertina, quasi defilato.

 

E’ il vero fine di quel libro?

Sarebbe abbastanza oltre”, pericolosamente vicino aidisvalori della Storiadi 100anni fa, avventatamente vicino alla storia dei foreignfighters di oggi.

 

La Storia di una guerra che si sta combattendo e che pizzofalcone ha già commentato.

Senza parole.