IL 1990
La guerra dei fratelli
di Lucio Martinelli
Con l’Ordine del Giorno sopra riprodotto, ricevuto nei primi giorni di gennaio 1990, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, esprimeva il Suo compiacimento per il mio comportamento e quello di tutto il personale del mio Ufficio nel terribile anno appena trascorso.
La resa del Gen. AOUN.
- La situazione in gennaio.
Nel primo giorno del nuovo anno i giornali filo occidentali, come l’Orient le Jour, riportavano in prima pagina il numero delle azioni terroristiche condotte nel 1989 all’interno della “zona di sicurezza” e contro il nord di Israele: 380 incursioni, con 23 morti e 75 feriti nell’ALS (Armata del Libano Sud), una formazione militare libanese al soldo di Israele e di 2 soldati israeliani uccisi e 31 feriti. I terroristi uccisi erano stati 294. Cifre comunque inferiori a quelle dell’anno precedente (1988).
La popolazione sperava di vivere un periodo di tranquillità dopo i tanti morti e distruzioni.La calma era tuttavia apparente perché tutti i “benpensanti” erano preoccupati dalla subdola e continua azione di disgregazione politica e sociale del campo cristiano, condotta in due modi diversi dalla classe maronita dissidente:
-appoggiando apertamente il leader delle Forze Libanesi (FL) per fomentare e infiammare la rivalità che da anni opponeva Aoun a Geagea
-attraverso azioni di discredito del Generale, accuratamente organizzate all’estero. Il settimanale francese “le Canard Enchainé” rendeva noto che Aoun aveva due conti personali presso la banca BNP di Parigi. Nel primo, un conto corrente, erano depositati 500mila dollari; nel secondo, un deposito a termine, 15 milioni di dollari, cifra che si incrementava di circa 100mila dollari di interessi ogni mese. La rivista indicava che la moglie del Generale aveva la firma in entrambi i conti. Questa azione diffamatoria era senza dubbio organizzata dalle FL, particolarmente attive in Francia, dove avevano diverse Uffici di rappresentanza. Aoun, replicava che il deposito era il frutto di donazioni fatte da maroniti residenti all’estero.
Samir Geagea, dopo il “modesto” concorso fornito dalla sua milizia ad Aoun nella “guerra di liberazione”, cercava in tutti i modi di riacquistare il pieno controllo politico dell’enclave cristiana. Le FL, a questo scopo, organizzavano comizi e una campagna denigratoria dell’azione militare del Generale, soprattutto nelle vicinanze di istallazioni dell’Esercito, dove si verificavano scaramucce con dei feriti.
In gennaio, agli Addetti Militari “accreditati” in Libano, residenti nel settore cristiano, veniva chiesto di riunirsi soltanto all’Ovest, presso le autorità militari del Governo Hoss, nella sede del Gen. Lahoud, il Comandante delle Forze Armate libanesi, nominato al posto del Gen. Aoun il quale, però, non aveva accettato la destituzione. Tutti gli Addetti chiedevano l’autorizzazione ai rispettivi Capi Missione di poter partecipare anche alle riunioni presso Aoun, per sottolineare la nostra apoliticità.
Proprio in occasione di una riunione tenuta il 30 gennaio a Yarzé, si verificava uno scontro tra soldati e miliziani delle FL, davanti a una caserma, con morti e feriti. Gli Addetti Militari erano invitati a rientrare subito nelle rispettive Ambasciate, cosa che avveniva con difficoltà a causa dei checkpoint dell’Esercito e delle FL.
Il 31 gennaio, prendendo a pretesto gli scontri del giorno precedente, verso le 11.00, scoppiava improvviso un ignominioso conflitto interno alla comunità maronita immediatamente definito la Guerra dei Fratelli, le cui conseguenze saranno la fine del Libano cristiano.Il conflitto sarà sfruttato da Damasco per far passare sotto la sua autorità anche quel lembo di terra ancora indipendente.
Nel 1989, schiacciato dalla popolarità acquisita da Aoun, Geagea, aveva finto di essere un alleato del Generale. Ora, invece,si dichiarava favorevole all’accordo di Ta’ife riconosceva come legittimi governanti il Presidente Hraoui e il Primo Ministro Hoss. Nello stesso tempo criticava con scritti e discorsi, tutti gli errori politici e militari commessi dal Generale nel 1989.
Non restava altra soluzione che il confronto armato.
- La guerra dei fratelli
Lo scoppio improvviso del conflitto sorprendeva la popolazione al lavoro, a scuola, in strada, creando un indescrivibile caos iniziale, che coinvolgeva anche il sottoscritto. Anche quel giorno ritengo di essere stato ancora una volta “miracolato”.
Verso le 10.30 del mattino, decidevo di fare una ricognizione per vedere cosa stava accadendo sul terreno. Il giorno prima avevo visto schieramenti di truppe e posti di blocco da parte di entrambi gli schieramenti. Inoltre, ero preoccupato per il mio Segretario che, accompagnato da un carabiniere, era andato a ritirare la Croma di servizio presso la Fiat, perché aveva completato il primo tagliando. Con un altro carabiniere, mi avviavo in autolungo l’autostrada verso Beyrouth.Avevo una strana sensazione nel cuore. Al Fiume del Cane (Nahrel-Khalb) l’autostrada,per superare il promontorio montuoso che separa le cazas del Kessrouane (sede dell’Ambasciata) da quella del Metn (sede della Residenza) attraversava due gallerie, una per ogni senso di marcia. Mentre imboccavamo la galleria,incrociavamo una colonna di mezzi blindati delle FL che, a tutta velocità, procedeva in senso opposto al nostro. Non potendo invertire la marcia, ero costretto ad andare in avanti. Appena fuori dal tunnel, ci trovavamo al centro di una violenta battaglia tra soldati e miliziani, con l’impiego di mitragliatrici e armi automatiche individuali. L’unica cosa da fare era cercare un riparo alla svelta. A tutta velocità e con una pericolosa inversione di marcia, mi dirigevo verso un grande negozio di articoli elettronici, la Technoland, per tentare di trovare protezione e comunicare via radio con l’Ambasciata. Nel momento che uscivamo dall’auto e ci dirigevamo di corsa verso l’ingresso, una raffica di mitragliatrice passava appena sopra le nostre teste, colpendo i sacchetti a terra che il negozio aveva messo a protezione delle vetrine. Mi gettavo sul carabiniere, facendolo cadere a terra e questo gesto consentiva ad entrambi di evitare una seconda raffica ad altezza d’uomo. Siamo rimasti qualche minuto sdraiati. Al primo accenno di sospensione del fuoco,siamo entratinel grande negozio, già pieno di mamme e bambini che strillavano e piangevano. Erano stati sorpresi dai combattimenti lungo la strada. Le loro auto si erano dovute fermare per non essere travolte dalla colonna corazzata delle FL che noi avevamo appena incrociato o essere colpite dalle raffiche sparate dai mezzi dell’Esercito che inseguivano i miliziani. Era impossibile comunicare con l’Ambasciata perché la radio portatile all’interno dello stabile non funzionava. Intanto all’esterno la sparatoria aumentava di intensità. Si cominciavano a sentire i primi colpi di mortaio e di cannone. Per oltre due ore siamo rimasti nel deposito sotterraneo del grande magazzino. In una apparente pausa del combattimento, io e il carabiniere ci precipitavamo all’esterno, verso la nostra autovettura, rimasta fortunatamente illesa.A tutta velocità, rientravamo in autostradapassandoper la stessa galleria dalla quale avevamo visto fuggire i mezzi corazzati delle FL due ore prima. Con mio grande sollievo, il Segretario e l’altro carabiniere avevamo fatto a tempo a rientrare in Ambasciata prima che scoppiasse la battaglia.
Circa mezzora dopo il nostro rientro, le due gallerie del Nahrel-Khalbveniva ostruite con massi e terra e potentemente minate con ordigni antiuomo e anticarro.
Le gallerie erano ancora chiuse quando, alla fine dell’anno, sono rientrato in Italia!
La foto aerea mostra il solco del Fiume del Cane che allora era possibile superare solo attraverso due gallerie, indicate dalla freccia.
Non si è mai venuto a sapere chi dei due contendenti abbia cominciato per primo questo assurdo conflitto. Entrambi si accusavano l’un l’altro. L’Ambasciata rimaneva isolata dalla Residenza, dove era convalescente l’Ambasciatore, da pocodimesso da un ospedale prossimo alla “linea verde”. I cavi telefonici erano stati tagliati. Restavano solo le radio ricetrasmittenti. L’unica possibilità di collegamento stradale con il Metn, era un ponte sul fiume distante 30 chilometri, in montagna. L’enclave cristiana si divideva in tre parti. Le cazas del Kesrouane e del Jbail(600kmq), restavano nelle mani delle FL di Geagea, che conservava anche la zona portuale di Beyrouth. Il Metnrimaneva sotto Aoun (250kmq) che aveva però il nemico di fronte e alle spalle. La zona del porto, infatti, era una spina nel fianco del Generale, perché potentemente armata e difesa.
M-113 dell’Esercito di Aoun pronti a muovere verso il Fiume del Cane.
I combattimenti più intensi si svolgevano lungo il litorale. L’Esercito cercava di superare l’ostacolo naturale del Nahrel-Khalb per intervenire a favore delle caserme rimaste isolate dal resto dell’Esercito nelle due cazas controllateda Geagea.
Circondate dai carri armati, da artiglierie e da miliziani, le caserme di Sarba (quella vicinissima alla mia abitazione), quella di Amchit, l’aeroporto militare di Halate e il presidio del porto di Jounieh, si arrendevano. Alcuni soldati che rifiutano di collaborare erano brutalmente uccisi dai miliziani, Solo l’eliporto dell’Esercito, sulla collina di Adma, restava nelle mani di un pugno di commando che rifiutano di arrendersi.
Al Gen. Aoun restavano poco più di 8.500 uomini per affrontare la milizia.
Nell’attacco alla caserma di Sarba, alcuni razzi di RPG-7 colpivano il palazzo dove abitavo e ancora la mia camera da letto. Lievi i danni. Comunque, dal 7 agosto del 1989 mi ero trasferito nella foresteria del mio Ufficio.
Per quattro mesi, dal 1° febbraio al 31 di maggio, tutta la regione cristiana era sconvolta da una guerra fratricida, con episodi di inimmaginabile crudeltà da parte dei miliziani verso i soldati e i simpatizzanti di Aoun. Al Generale restavano circa 250 kmq di territorio mentre Geagea ne aveva più di 600. Il potenziale di fuoco delle artiglierie delle FL era impiegato senza risparmio di colpi contro l’Esercito, cosa che non era stata fatta per appoggiare il Generale nella sua lotta contro la Siria dell’anno precedente. Io e i miei collaboratori, passavano ore ad osservare i tiri sulla terrazza dell’Ambasciata, con i proietti che fendevano l’aria sopra le nostre teste con un “sinistro fruscio”. La popolazione, già stremata dal precedente conflitto, tornava a vivere nei rifugi e nelle cantine. Tutta la regione era completamente paralizzata e nessuno osava uscire. Il traffico era inesistente.Le strade completamente deserte erano percorse,di tanto in tanto, dai carri armati e dalle artiglierie semoventi delle FL, che si spostavano continuamente per non costituire un bersaglio o per spostarsi verso le due gallerie autostradali, chiuse e minate, per impedire ai soldati di Aoundi superare il costone montuoso e penetrare nella regione. Tutte le notti si accendevano
violenti combattimenti, in particolare al Fiume del Cane, mentre la collina di Adma era bersagliata dai tiri delle artiglierie e dei razzi delle FL, per annientare la resistenza dei pochi soldati restati fedeli al Generale, che si erano trincerati in mezzo alle case e alle ville. Sulla collina sorgeva un villaggio residenziale chiamato “BelOrizont”, per la vista sul mare.Nel complessoabitava anche il nostro Primo Consigliere con la moglie. In pochi giorni il villaggioera completamente distrutto. Tutti gli italiani avevano lasciato le loro abitazionie si erano rifugiati in Ambasciata dove, nel salone dell’Istituto Culturale, il più protetto, era stato allestito un “dormitorio” e una cucina d’emergenza.
Alla fine di maggio, un piano patrocinato dal Pontefice portavaad una tregua molto precaria. Aoun usciva fortemente indebolito dal confronto. Aveva perso due terzi del territorio cristiano, compresi i porti più importanti e, soprattutto, la fama di “invincibilità” che si era creato nella guerra contro la Siria. Continuava ad essere contrario agli Accordi di Ta’if e non riconosceva la nuova dirigenza libanese. Questa posizione intransigente gli aveva procurato l’isolamento politico internazionale.
Durante questi mesi di lotta fratricida, la nostra Ambasciata era scossa daalcuni avvenimenti che influivano con forza sulle attività della Missione e su tutto il personale che vi lavorava.
Il primo di questi fatti era la morte dell’Ambasciatore d’Italia. Alle 8.30 del mattino del 4 febbraio, il cameriere personale dell’Ambasciatore Antonio MANCINI, comunicava via radio il decesso del diplomatico, avvenuto nella sua Residenza di Nachache, rimasta isolata dalla Cancelleria dal 31 gennaio, dopo la chiusura delle gallerie sul Nahrel-Khalb. Durante la notte, tutta la zona intorno alla Residenza era stata sottoposta a un intenso bombardamento da parte delle artiglierie delle Forze Libanesi.
Il diplomatico,il 24 gennaio, era stato ricoverato in ospedale per una paresi facciale. Era rientrato in fretta nella sua villa, il 31, allo scoppio della guerra, dopo che una cannonata aveva centrato la stanza accanto alla sua, uccidendo tutti coloro che vi erano ricoverati. Nel 1989, l’Ambasciatore si era sottoposto, in Italia, ad un intervento chirurgico al cuore.
Dopo un lungo e rischioso percorso attraverso le montagne, l’ambulanza dell’Ambasciata, con un interprete, due carabinieri e il sottoscritto, riusciva a recuperare la salma dalla Residenza, passando attraverso i combattenti. Una cosa straordinaria era il fatto che, sia all’andata sia al ritorno, dopo che l’interprete aveva spiegato il motivo del movimento, le armi avevano taciuto. Poiché la notte incombeva e le strade minate erano battute dai cecchini, dovevamo rientrare in sedeper lo stesso percorso. Durante il lento passaggio del mezzo tra le fila dei soldati di Aoun e dei miliziani di Geageache si stavano fronteggiando, tuttisi schieravano ai lati della strada e presentavano le armi. Questa è stata la più commovente testimonianza d’affetto, di stima e di apprezzamento per l’opera svolta dall’Ambasciatore Mancini durante il suo mandato. Era benvoluto da tutti!
Soltanto il 10 febbraio, durante una breve tregua, era possibile imbarcare la salma su un traghetto diretto a Cipro, dove l’attendeva un aereo italiano per portarla a Roma
Il 22 febbraio, evacuazione dell’Ambasciata. La situazione nel Kesrouane, dopo ventidue giorni di isolamento totale, era peggiorata.L’Incaricato d’Affariad interim dopo la morte dell’Ambasciatore, temeva che l’Esercito di Aoun fosse pronto a scatenare una massiccia offensiva che avrebbe coinvolto, con molta probabilità, anche la sede dell’Ambasciata. La sede diplomatica, per la sua posizione, poteva essere usata dalla milizia come un baluardo difensivo. L’ipotesi di un attacco, anche se non era verificabile, io l’avevo esclusa in modo categorico. Sulla decisione presa dal diplomatico, influiva sicuramente la
distruzione di alcune abitazioni di membri dell’Ambasciata, compresa la sua. Il personale civile esuberante si imbarcava per Cipro, mentre il personale tecnico, l’Ufficio dell’Addetto Militare e i carabinieri dovevano trasferirsi con immediatezza presso il Consolato onorario di Tripoli (Taraboulos), città sotto il completo controllo siriano. L’immediata richiesta di una autorizzazione ad abbandonare l’Ufficio, inoltrata personalmente al Ministero della Difesa italiano,rimaneva senza risposta. Pertanto, l’indomani mattina, dovevo obbedire all’ordine ricevuto dal Capo Missionee abbandonare la sede diplomatica. Il compito che mi era stato affidato era quellodi prendere contatto con il Comando siriano in Tripoli, per ottenere l’autorizzazione all’eventuale atterraggio di aerei militari italiani da trasporto, per evacuare il personale dell’Ambasciata e altri cittadini italiani residenti in Libano. Appena istallato il mio personale nell’Hotel Las Salinas di Tripoli, mi recavopresso il comando siriano che gestiva e controllava l’aeroporto di el-Qlaiaat. Nel periodo di permanenza a Tripoli, come avevo previsto, il temuto forzamento dello sbarramento del Fiume del Cane (Nhar– el– Khalb) non si verificava. Prima di partire, avevo fatto presente, senza essere ascoltato, che si trattava solo di falsi allarmi. Il giovane diplomatico, che sostituiva l’Ambasciatore appena deceduto, forse perché ancora sotto shock, sia lui che la moglie,per la distruzione della sua abitazione, non mi aveva dato ascoltorimanendo fermo sulla decisione di evacuare immediatamente l’Ambasciata. Avevo dimostrato, dati alla mano, che il Gen. Aoun non disponeva delle forze necessarie (ce ne volevano almeno il triplo) per penetrare nel cuore del feudo di Geagea. Poteva solo contrastare i massicci bombardamenti delle Forze Libanesi, dosando oculatamente anche le sue munizioni poiché, non avendo porti a disposizione, non poteva rifornirsi. La situazione militare si era esattamente avverata così come era stata da me valutata.
Il 4 marzo, assolti tutti i compiti che mi erano stati assegnati, rientravo in Ambasciata. A Tripoli rimaneva tutto il personale degli altri Uffici.
I bombardamenti, le azioni di disturbo di piccole pattuglie, continuavano senza interruzione e qualsiasi tentativo diplomatico di “cessate il fuoco” falliva sul nascere.
Il rientro in sede da parte del mio Ufficio coincideva forse con i bombardamenti più intensi da parte delle Forze Libanesi. Forte del fatto che disponeva di una quantità enorme di munizioni, SamirGeagea non risparmiava i proietti di artiglieria e i razzi dei micidiali BM-21 cal. 122 mm sull’esercito del suo rivale, il Gen. Aoun. Le foto che seguono sono una piccola testimonianza di questa lotta assurda. Come ho già ricordato, tra le fila dei miliziani c’erano parenti anche stretti (fratelli o padri e figli) dei soldati che essi combattevano con tanta violenza.
La divisione all’interno di una stessa famiglia era solo una questione di “paga”. Un miliziano delle FL guadagnava molto di più di un soldato e aveva un profitto sui traffici illeciti.
Effetti dei bombardamenti tra Esercito e Forze libanesi Nel 1990
Una palazzina colpita nel Kesrouane. Un palazzo colpito con bombe al fosforo.
1990. Soldati dell’esercito del Gen. Aoun guardano gli effetti dei bombardamenti delle FL in Beyrouth Est.
Palazzi appena colpiti dalle cannonate dell’Esercito di Aoun nel Kesrouane.
Nonostante le distruzioni, si continua a vivere nelle palazzine semidistrutte.
Questa un tempo era una bella piazza.
Quartieri colpitidai bombardamenti delle FL sul Metn e su Beyrouth Est.
Altre immagini delle immense distruzioni prodotte dai bombardamenti delle FL.
Si scava nelle macerie per cercare qualcuno ancora in vita.
Gesti di sconforto di un uomo e di un soldato dopo un bombardamento delle FL.
Questa catastrofica fotografia chiude la panoramica di immagini. Non ci sono limiti alla brama di potere da parte di uomini senza scrupoli. Possono distruggere un popolo, la sua cultura e la sua esistenza.
Il 14 marzo, nella tarda mattinata, arrivava a Beyrouth l’Ambasciatore Giuseppe De Michelis di Slonghello, in sostituzione dell’Ambasciatore Mancini, morto il 4 di febbraio.
Il 19 marzoavevamola prima buona notizia.Riapriva al traffico, a senso unico alternato, su un stradina in disuso (era una vecchia massicciata ferroviaria) che aggirava le galleria del Nahr-el-Khalb sul lato mare. Questo permetteva al neo Ambasciatore, da me accompagnato, di recarsi presso il Nunzio Apostolico e presso i colleghi francese, inglese e tedesco in visita di cortesia. I controlli e i tempi di attesa erano però estenuanti!
Finalmente, nei giorni due e tre di aprile, l’Ambasciatore de Michelis poteva recarsi all’Ovest per presentare le lettere credenziali al Presidente e al Governo in carica, riconosciuti dall’Italia.
Lo accompagnavo in entrambe le occasioni, raccomandando al diplomatico di non palesare la propria conoscenza della lingua araba, appresa in Egitto e in Algeria, cosa che poteva essergli molto utile nelle relazioni future. Consiglio “inascoltato” poiché l’Ambasciatore pronunciava il suo discorso di ringraziamento anche in tale lingua.
L’accoglienza era stata molto cordiale.
Il Cerimoniale si era impegnato per presentare le autorità governative libanesi nel modo migliore. Un Picchetto d’onore con bandiera e banda rendeva gli onori militari e la sala dei colloqui era stata ben addobbata. Occorre ricordare che il Gen. Aoun non aveva lasciato il Palazzo Presidenziale, quindi la cerimonia si era svolta in parte in un albergo e in parte presso il vecchio Serail, cioè la residenza del Primo Ministro SelimHoss.
La ripresa di una pur minima libertà di movimento, per periodi molto brevi e a proprio rischio, mi permetteva di riprendere i contatti con alcuni “informatori” e di avere scambi di inotizie con i miei due colleghi e amici, gli Addetti Militari inglese e francese. Una novità appresa da fonte sicura era che le Forze Libanesi, in diverse occasioni, avevano tirato cannonate e razzi sulle abitazioni e infrastrutture all’interno della loro zona, per far creder che fossero stati i cannoni di Aoun e quindi aumentare l’acredine verso il Generale. Tutto era posibile in Libano e non era certamente la prima volta che si verificavano cose del genere.
La “guerra dei fratelli” continua con solo qualche breve pausa e con iniziative diplomatiche inusuali. Yasser Arafat riappariva nello scenario libanese. Si offrivaaddirittura come “mediatore” tra Aoun e Geagea e porgeva i suoi “buoni uffici” anche ai dirigenti sciiti di Amal e Hizbollah, per far cessare la guerra, mai interrotta, tra queste due fazioni sciite, in particolare nel Sud del Paese.
Il 4 aprile,l’Ambasciatore e il sottoscritto, ci recavamo in visita al Nunzio Apostolico nella sua residenza di Harissa.Lungo il tragitto venivamo sorpresi da un bombardamento improvviso. Mentre eravamo all’interno della Nunziatura, tre grossi obici cadevano nel giardino, mandando in frantumi i vetri.
Le foto che seguono sono relative alla presentazioni delle “Lettere Credenziali” dell’Ambasciatore de Michelis alle autorità libanesi riconosciute dal Governo italiano.
Anche in quell’occasione, tutti gli Ufficiali dell’Ovest musulmano che ho avuto occasione di incontrare sono stati molto cordiali nei miei confronti.
Il 3 maggio, una cannonata dell’Esercito, osservata in diretta dall’Ambasciata, affondava un grosso motoscafo con a bordo dei miliziani delle FL che cercavano di raggiungere il loro quartier generale, situato alla Quarantina, una struttura annessa al porto di Beyrouth, raggiungibile, dopo il blocco terrestre delle gallerie, solo via mare. Il Patriarca maronita e il Nunzio Apostolico chiedevano a idue contendenti, senza successo, una breve tregua per consentire il recupero in mare di morti e feriti. Il Nunzio, nel primo pomeriggio, chiedevaal neo Ambasciatore italiano di esercitare i suoi “buoni uffici” per tentare una ulteriore mediazione. Il Capo Missione, ancora poco pratico di queste cose, affidava a me l’incarico.
La rete telefonica era inefficiente. Decidevo di recarmi in auto presso un posto avanzato dell’Esercito, a pochi metri dalle linee difensive della milizia. Dopo essermi fatto riconoscere, con il telefono da campo dell’Ufficiale in Comando, riuscivo a mettermi in contato con il Gen. Edgard Malouf (melchita), uno dei due Ministri di Aoun e mio buon amico. L’Alto Ufficiale, dopo aver preso nota delle ragioni umanitarie della mia richiesta, ordinava una sospensione dei bombardamenti, avvertendomi però che mi avrebbe ritenuto personalmente responsabile se le FL
non avessero fatto altrettanto, o se avessero approfittato della tregua per modificare il loro schieramento anziché recuperare morti e feriti. Contattavo via radio il Capo di Stato Maggiore della milizia, il Col. Fouad Malek, e ottenevo anche da lui la garanzia di un cessate il fuoco. D’altronde questa richiesta era partita proprio dalle FL. Per dimostrare la mia buona fede e poiché le stesse garanzie mi erano state richieste anche dalle FL, rimanevo in “ostaggio” presso l’avamposto militare fino al mattino successivo. La missione, conclusa favorevolmente, era stataun “successo” della diplomazia italiana.
Ero legittimamente orgoglioso di aver portato a termine un compito particolarmente delicato, in un momento di forte tensione, dopo il fallimento di autorità politiche e religiose molto più qualificate e importanti.
LA PRESENTAZIONE DELLE LETTERE CREDENZIALI
L’Ambasciatore d’Italia de Michelis di Slonghello riceve gli onori militari, da un Picchetto con bandiera e banda dell’Esercito libanese dell’Ovest, prima di essere ricevuto dal Presidente della Repubblica libanese.
L’Ambasciatore de Michelis a colloquio con il Presidente Hraoui e con il Primo Ministro Hoss. L’Addetto Militare italiano saluta il Consigliere Militare del Presidente libanese.
- La Capitolazione di AOUN. I siriani entrano nell’enclave cristiana.
Dal 31 di maggio, la tregua dichiarata, ad eccezione di alcune violazioni e scontri terrestri di minore importanza, sembrava reggere. In queste occasioni, come di consueto, le varie agenzie cercavano di fare un bilancio dell’ultima catastrofe vissuta dal Libano. Secondo l’United Nations Development and Reconstruction Organization (UNDRO) la “Guerra dei Fratelli” aveva causato:
–1500 morti e 3500 feriti;
-25.000 abitazioni erano state colpite, di cui 5.000 distrutte;
-600 gli stabilimenti e le industrie colpite;
-100.000 persone erano emigrate;
-24.000 famiglie si erano allontanate dalla regione cristiana.
In agosto si verificava una ripresa dei combattimenti intorno a Sidone tra opposte fazioni palestinesi e si accendeva un nuovo confronto armato tra Amal e Hizbollah.Anche le operazioni antiterrorismo israeliane prendevano nuovo vigore nella zona di confine.
Il 2 di agosto, iniziava l’invasione del Kuwait da parte dell’esercito iracheno.
Questa nuova crisi el Golfo Persico, da me preannunciata, senza essere ascoltato, alle nostre autorità già nel mese di maggio, provocava degli strascichi in Libano che acceleravano i progetti di Damasco. In chiave anti irachena, gli Stati Uniti si riavvicinavano politicamente alla Siria. Il Libano era il prezzo da pagare a Damasco per ottenere sostegno politico-militare contro Saddam Hussein. Assad, pertanto, riesaminava tempestivamente la sua strategia. Dopo aver ostacolato il processo politico promosso a Ta’if, ora pretendevala sua integraleapplicazione, compresa la riscrittura della Costituzione libanese. Il 29 settembre, in accordo con la dirigenza libanese, le truppe siriane attuavano il blocco terrestre dei 250 kmq rimasti sotto il controllo di Aoun. Una manifestazione contro questo provvedimento era dispersa nel sangue (30 morti e molti feriti). Lo stessa pugno duro era adottato in altre manifestazioni similari.
L’11 settembre, secondo le istruzioni ricevute negli incontri privati avuti con Assad, il Presidente Hraoui, inviava una richiesta scritta al Presidente siriano, pregandolo di intervenire militarmente per destituire e arrestare Aoun. Il Generale, sentendo avvicinarsi la catastrofe, indirizzava un vibrante discorso alla popolazione che si concludeva con “megliomorire con onore che cedere il palazzo presidenziale a un governo pro-siriano”.Aoun sperava fino all’ultimo che il “popolo” corresse a difenderlo con la forza e non solo con le parole e gli slogan. Nella notte del 12, truppe siriane circondavano le caserme dell’Esercito diAoun. All’azione partecipavano anche i soldati dell’Ovest, sotto il comando del Gen.Lahoud e dei contingenti delle Forze Libanesi.
La resa di Aoun. L’offensiva contro il ridotto cristiano libero scattava alle sette del mattino del 13 ottobre.
Dopo un attacco aereo da parte dei caccia bombardieri Sukhoi di Damasco sul palazzo di Baabda, intervento “autorizzato da Israele, le forze di terra siriane, appoggiate da carri armati e artiglierie, muovevano all’attacco delle posizioni presidiate dai soldati fedeli ad Aoun.
Settemila soldati siriani, 120 carri armati e innumerevoli cingolati, dilagavano lungo le strade del Metn, portando morte e distruzione. Il Gen. Aoun, alle 9,30, per evitare ulteriore spargimento di sangue, dall’Ambasciata di Francia dove si era rifugiato insieme ai
suoi più stretti collaboratori, ordinava il cessate il fuoco ai suoi fedeli. Alle 14.00 cessava ogni resistenza.
Il Generalechiedeva asilo politico alla Francia per se, la famiglia e i suoi Ministri. Il Presidente Mitterand lo accordava a tutti. L’intera operazione militare era stata condottaesclusivamente dall’esercito siriano.Infatti, il Gen. Lahoud, giunto sei ore dopo l’attacco, non poteva fermare lo scempio del Ministero della Difesa di Yarzé, che veniva saccheggiato di tutto ciò che era asportabile (mobili, archivi riservati, documenti, equipaggiamenti elettronici, ecc.). Caricato su autocarri, tutto il materiale era inviato immediatamente a Damasco.
Due giorni dopo, il 15 ottobre, un centinaio di soldati già prigionieri, venivano trucidati dai siriani, insieme a numerosi civili. Tutti gli Ufficiali dell’intelligence erano arrestati. La stessa sorte subivano alcuni Generali.
Il 16 ottobre, l’Ambasciatore di Francia comunicava ufficialmente al Presidente Hraoui che il suo Governo aveva concesso “asilo politico” al Gen. Aoun e ai Gen. Maalouf, Abou Jamra e Sassine. L’Ambasciata francese era completamente circondata dai soldati siriani, mentre in tutta la zona si scatenava il terrore. I siriani e i loro alleati (compresi le FL), erano padroni assoluti di tutto il Metn. Commettevano furti, stupri, saccheggi, esecuzioni sommarie di militari e civili. Nessuno li fermava.
Alle Forze Libanesi di Geagea, che avevano collaborato all’assalto finale controAoun, veniva accordato di mantenere la loro autorità sulle altre due cazas cristiane: il Kesrouane (dove c’era l’Ambasciata d’Italia) e lo Jbeil; circa 600 kmq in tutto.
Con l’operazione militare siriana del 13 ottobre, avallata dagli USA, da Israele, dall’Europa, dal Presidente e dal Governo libanese, addirittura appoggiata da forze di una milizia maronita, schierate con i quei musulmani che volevano la rovina delle comunità cristiane e soprattutto la caduta di Aoun, si chiudeva il periodo più tragico della conflittualità libanese, nel peggiore dei modi. Infatti, i siriani erano ormai i padroni incontrastatie le istituzioni libanesi non erano altro che uno strumento, sempre in attesa degli ordini del dittatore Hafez-elAssad, il Leone di Damasco. In questa situazione parlare di rinascita o di prospettive per il futuro era veramente un “folle azzardo”, una vera pazzia.
Povero Libano! Non meritavi che ti umiliassero così barbaramente e che il mondo democratico permettesse questo scempio. Al centro della tua bandieraavevi un Cedro. Era il tuo simbolo, quello del Paese dei Cedri, ma anche l’emblema della libertà, della sovranità, della indipendenza che ora avevi perduto forse per sempre.
Nel Paese c’erano ormai troppi vessilli, oltre quello ufficiale rosso, bianco, rosso che ora sventola a Baabda per un nuovo padrone.
Le Forze Libanesi ne avevano uno tutto loro, bianco, anch’esso con il cedroal centro; poi c’era quello siriano, quello palestinese, quello iraniano, più gli stendardi che tutte le milizie ostentavano ogni volta che si affrontavano militarmente, con la mezzaluna al centro.
Il 1990è stato l’anno decisivo per le sorti del Libano cristiano! I maroniti, e con loro tutte le altre comunità cristiane, hanno perso anche quel briciolo di autonomia e libertà che godevano nell’enclave, che si erano faticosamente creata dopo gli anni difficili vissuti a causa della presenza e delle angherie palestinesi. Non sono stati capaci di preservarsi questo lembo di terra soprattutto per le brame di potere del capo di una milizia che rifiutava qualsiasi dipendenza da una autorità che poteva mettere a rischio i suoi traffici e l’impero economico-criminale che si era creato.
CONTINUA