TUFFI IN REDAZIONE
Un Popolo di Tuffatori
Sì, siamo noi
Voliamo con le aquile sul mare…..
servizio di Mimmo D’Angelo
……….“un tuffo dove l’acqua è più blu…”. Siamo un popolo di tuffatori, oltre che di “Eroi, Santi, Poeti , ecc.”?
Diremmo proprio di sì, e per tanti motivi.
Tutto nasce dalla scoperta (per me), in realtà riscoperta, della magnifica “Tomba del Tuffatore”, vicino a Paestum.
Guardate qui sotto che meraviglia. E’ una lunga descrizione ed avventura, che parte dal modernissimo affresco del Tuffatore, evidentemente una specialità dell’uomo sepolto nella tomba. Ma poi continua con gli altri magnifici affreschi, dagli altri “opus” presenti in questo magnifico ed incredibile manufatto della Magna Grecia, che rendono questi monumenti funebri veri e propri capolavori artistici e testimoni del grande passato dell’Italia meridionale, delle sue origini.
E l’idea del popolo di tuffatori che ritorna in questi giorni quando dalle Olimpiadi, ecco l’Antica Ellade che ritorna ancora, sentiamo dei nuovi successi di Tania Cagnotto, vera figlia d’arte.
Che ci fa ricordare di altri grandi tuffatori, di gare sportive o semplicemente per proprio ed altrui godimento, che abbiamo avuto e che continuiamo ad avere.
Ed allora ci facciamo un piccolo viaggio partendo proprio dalla Tomba del Tuffatore per poi ricordare i nomi ed alcuni avvenimenti di alcuni personaggi a noi più vicini :
Klaus Di Biasi, Giogio Cagnotto, Mister Okay, Tania Cagnotto ecc.
Così alla rinfusa…
Tomba del tuffatore
La tomba del tuffatore è un manufatto dell’arte funeraria della Magna Grecia, proveniente dall’area archeologica di Paestum costituito da una tomba a cassa, formata da cinque lastre calcaree in travertino locale che, al momento del ritrovamento, si presentavano fra loro accuratamente interconnesse e stuccate. Il pavimento della cassa era costituito dallo stesso basamento roccioso su cui era realizzata la tomba.
L’eccezionalità della scoperta risiede nel fatto che le pareti del manufatto e, cosa ancor più insolita, la stessa lastra di copertura, sono interamente intonacate e decorate con pittura parietale di soggetto figurativo, realizzata con la tecnica dell’affresco.
Il corredo funerario rinvenuto all’interno della sepoltura era costituito da un’unica lekythos attica a figure nere, una lyra e due ariballi per unguenti in alabastro. Sebbene pochi resti dello scheletro si siano conservati, la sepoltura viene comunemente attribuita ad un giovane.
Ma lasciamo la parola al fortunato che ebbe la ventura di fare la stupenda scoperta :
La tomba del Tuffatore fu rinvenuta da Mario Napoli il 3 giugno del 1968 a meno di due chilometri a sud di Paestum, in una località denominata Tempa del prete[. Fu portata alla luce nel corso di mirate campagne di scavo, programmate nell’ambito dei Convegni sulla Magna Grecia di Taranto .
Gli oggetti di corredo, in particolare la Lekythos attica, unitamente alle considerazioni stilistiche di cui si dirà oltre, hanno permesso una chiara datazione al decennio compreso tra il 480 e il 470 a.C. Il manufatto si situa quindi nell’epoca aurea dell’arte di Paestum, in un contesto politico e sociale che aveva visto, meno di vent’anni prima, l’edificazione del tempio di Atena (impropriamente detto di Cerere) e avrebbe portato, nel lasso di due o tre decenni, il sorgere del più compiuto esempio dell’architettura di Paestum, il celebre tempio detto di Nettuno.
Alcune delle scene rappresentate richiamano una cornice conviviale, interpretando schemi tipici e di ampia diffusione nella coeva ceramica attica a figure rosse. Dieci uomini inghirlandati, adagiati sui tipici letti triclinari (le klinai), sorpresi in pose simposiali, animano le raffigurazioni delle pareti più lunghe. Le mani sono impegnate a sorreggere le kylikes, o ad impugnare strumenti musicali, il diaulos o la lira.
Parete nord: scena di Simposio
Musica e conversazione si inframezzano a invocazioni al bere o all’intrattenimento del kottabos. Due ospiti, posate le coppe su un basso tavolino, indugiano in gesti di affetto omosessuale sotto lo sguardo incuriosito di un terzo. Alla kylix protesa da uno dei simposianti sembra fare eco, da una delle pareti corte, un giovane convitato il quale, attinto il vino da un grosso cratere inghirlandato, posato su un tavolo festonato, se ne allontana recando con sé una oinochoe. Un altro convitato, accompagnato dal flauto del suo vicino, si cimenta in un canto, reclina il capo e la mano va a toccarsi la fronte, abbandonandosi al gesto convenzionale dell’estasi.
Su una delle pareti piccole una giovane auleta inaugura un breve corteo scandendo, al suono del suo strumento, l’incedere leggero e danzante (partenza o arrivo?) di un efebo nudo, forse un atleta[6] che, le spalle cinte appena da un leggero drappo azzurro, pare quasi indugiare nell’ampio gesto disteso della mano destra. Chiude il corteo un più maturo uomo barbato, forse un paidagogos[7], ammantato da un chitone ed appoggiato al nodoso bastone da passeggio.
Sulla lastra di copertura vi è infine la celebre scena che ha dato il nome alla sepoltura, un tema totalmente estraneo all’arte greca: un giovane nudo è sospeso per sempre nell’istante del tuffo solitario in uno specchio d’acqua.
Il senso emblematico
Le scene simposiache sono correntemente interpretate come un convivio funebre. Un’interpretazione simbolica, quale emblema di un trapasso ultraterreno, si presta bene a denotare la scena del tuffo. La piattaforma da cui si slancia il tuffatore allude forse alle pulai, le mitiche colonne poste da Ercole a segnare il confine del mondo, assurte a simbolo del limite della conoscenza umana. Lo specchio d’acqua, secondo la stessa opinione dello scopritore, con il suo orizzonte curvo e ondulato, rappresenterebbe quindi il mare aperto e ondoso. La posa atletica, così ravvicinata al piedistallo da far sembrare il tuffo un sorvolo, simboleggerebbe il transito verso un mondo di conoscenza: un orizzonte diverso da quella della conoscenza terrena cui un giovane greco accede secondo le convenzioni e le esperienze esemplificate nelle pratiche simposiali: l’abbandono al vino, all’eros, all’arte, sia essa musica, canto o poesia.
Alla stessa simbologia si può forse ricondurre la scena del corteo dell’efebo/atleta.
L’influenza etrusca
Un eromenos con il suo erastes durante un simposio.
Tutto il contesto iconografico è anomalo in un manufatto di ambiente magnogreco. L’uso di figurazioni nelle sepolture se era infatti tipico dell’Etruria[8], è invece sostanzialmente sconosciuto alla Magna Grecia le cui tombe erano al più decorate con stile calligrafico.
Anche l’associazione tra temi ultraterreni e contesti conviviali risente di un influsso artistico e cultuale proveniente dal mondo etrusco, fornendo una piena testimonianza della profondità e reciprocità degli scambi culturali e artistici tra le due civiltà sulle due sponde del Sele.
Allo stesso momento è da notare come essa marchi notevoli differenze con le raffigurazioni artistiche dell’arte etrusca. Si confronti ad esempio l’atmosfera sospesa della scena del tuffo, in un contesto fiabesco e stilizzato, con quella che pervade pitture funerarie etrusche come la tomba della Caccia e della Pesca di Tarquinia.
La collocazione nell’ambito dell’arte greca
La notizia della scoperta della tomba animò l’VIII convegno tarantino sulla Magna Grecia, dove essa fu presentata a pochissimi giorni dalla scoperta in un clima di speranze ed eccitazione. Da lì la notizia rimbalzò presto, in tutto il mondo, con un’eco vasta e non confinata al solo ambiente delle pubblicazioni scientifiche.
Molte delle aspettative e degli entusiasmi dell’epoca sono rimasti però senza risposta: l’eccezionalità del ritrovamento, mai più ripetutosi, se ne fa a tutt’oggi l’unico esempio di pittura greca di età classica e della Magna Grecia, non ha consentito tuttavia significativi progressi nella conoscenza di quella celebrata espressione dell’arte greca, pressoché interamente perduta, che è stata la pittura.
Questo manufatto isolato, anomalo, un po’ cesura tra mondi diversi, rimane tuttora di difficile collocazione nel contesto evolutivo dell’arte greca. Di sicuro però, fin dalla sua prima illustrazione tarantina, viene individuato quale frutto dell’arte ellenica, il cui spirito [avrebbe subito a Paestum un’originale reinterpretazione attraverso la commistione con elementi di vivacità espressiva e narrativa e di realismo figurativo mutuati dall’ambiente locale, sia campanoche etrusco.
Parete sud
Si pensi all’ironia, quasi caricaturale, che traspare dalla scena dell’avance mossa, con espressione quasi ebete, al suonatore di lira dal suo erastes e la conseguente ritrosia amorosa dell’eromenos che cattura lo sguardo curioso del vicino o alla postura di quel simposiante che nel reclinarsi estatico, toccandosi i capelli, sembra quasi sciogliersi in un gesto d’impazienza o disappunto per le prestazioni meliche del suonatore di aulos.
Questi elementi, secondo Mario Napoli, sembrano riecheggiare, in spigliatezza e fluidità narrativa, il ciclo scultoreo arcaico delle metope dell’Heraion alla foce del Sele. L’affinità stilistica con quel ciclo plastico ha suggerito allo scopritore che gli affreschi della tomba fossero il prodotto di un artista di Paestum, non un grande pittore, forse solo un artigiano talentuoso, e in quanto tale fedele testimone di un gusto artistico raffinato che doveva essere patrimonio diffuso e condiviso nella Paestum del V secolo.
La fortuna della pittura funeraria di Paestum non si esaurirà comunque con l’avvento del dominio lucano sulla città, ma continuerà ad esprimersi in un ricco ciclo di raffigurazioni rinvenute in sepolture lucane, perlopiù appartenenti alla seconda metà del IV secolo a.C., oggi esposte al fianco del tuffatore, all’interno del Museo Archeologico Nazionale di Paestum o, come nel caso della tomba di Albanella (detta della fanciulla offerente), al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Via i discinti convitati, via la musica, i tuffi eleganti, i gioiosi simposi funebri, gli efebi e gli atleti danzanti ed ecco irrompere al loro posto scatenate e polverose corse di bighe e quadrighe, guerrieri a cavallo in partenza per l’ultimo viaggio, tristi cortei echeggianti di lamentazioni femminili, pugilatori insanguinati, cani, cervi, cacciatori, ippogrifi. Sono i nuovi soggetti che ci daranno la temperatura di un mutato clima artistico fissato per sempre sulle lastre di questi veri capolavori dell’arte italica.
Qualche tuffatore più vicino…
Ma adesso vogliamo parlare, come abbiamo detto all’inizio, di alcuni tuffatori e tuffatrici di oggi o di tempi abbastanza recenti, che hanno fatto e fanno sport come disciplina professionistica ovvero per puro diletto e divertimento.
Per gli sportivi senza citare le vittorie, le medaglie ed i riconoscimenti, sarebbero elenchi troppo lunghi.
Klaus Dibiasi
Per rafforzare il concetto della tradizione italiana, anche di famiglia, nella disciplina dei tuffi, ricordiamo che Klaus è figlio del pluricampione italiano Carlo Dibiasi, che partecipò anche ai Giochi olimpici di Berlino del 1936, Klaus è stato un campione sia nei tuffi dalla piattaforma che in quelli dal trampolino.
Colse la sua prima vittoria internazionale nel 1963, a sedici anni non ancora compiuti, quando conquistò la medaglia d’oro dalla piattaforma ai Giochi del Mediterraneo. L’anno seguente partecipò alla sua prima Olimpiade , vincendo la medaglia d’argento dalla piattaforma. Nella stessa specialità fu medaglia d’oro nei successivi Giochi del 1968 (dove vinse anche l’argento nel trampolino), del1972 e del 1976. In quest’ultima edizione, dove fu anche alfiere della squadra italiana nella cerimonia di apertura dei Giochi, totalizzò ben 600 punti, record mondiale e olimpico. Dotato di un fisico statuario, aveva come caratteristica peculiare l’entrata in acqua: i pochi spruzzi sollevati contribuivano a convincere i giudici della validità della sua esecuzione.
Klaus e Giorgio amici – rivali – amici
È l’unico tuffatore al mondo ad aver vinto tre olimpiadi consecutive nella stessa specialità ed in Italia è l’unico atleta, insieme a Valentina Vezzali, ad aver vinto tre olimpiadi consecutive nella stessa specialità in uno sport individuale.
Oltre a Giorgio Cagnotto, suo amico-rivale, l’avversario più temibile per Dibiasi fu lo statunitense Greg Louganis, più giovane di 13 anni, ma che fino a quando Klaus gareggiò dovette accontentarsi dei gradini più bassi del podio.
È stato l’allenatore della squadra olimpica in quattro edizioni dei Giochi: nel 1980 a Mosca, nel 1984 a Los Angeles, nel 1988 a Seoul e nel 1996 ad Atlanta. Team Leader nel 2004 ad Atene e nel 2008 a Pechino, Dirigente responsabile a Londra 2012 alla sua undicesima presenza olimpica.
Nel 1981 è stato inserito nella la Hall of Fame internazionale degli sport acquatici. Nel 2000 è stato eletto consigliere federale della FIN. Il 26 febbraio 2006 è stato portatore della bandiera olimpica nel corso della Cerimonia di chiusura dei XX Giochi olimpici invernali Torino 2006. È membro della commissione tecnica per i tuffi nella LEN (Lega Europea di Nuoto) e nella FINA (Federazione Internazionale di Nuoto).
Giorgio Cagnotto
Prima di Tania, suo padre Giorgio è stato il miglior atleta italiano di tutti i tempi, dopo Klaus Dibiasi, in campo maschile in questa specialità. Nella sua lunga carriera, iniziata a livello professionale nel 1964 e conclusasi nel 1981, Giorgio Cagnotto è riuscito a portare la nazionale italiana di tuffi ai massimi livelli. Nel 1991 è stato inserito nella International Swimming Hall of Fame, la Hall of Fame internazionale degli sport acquatici.
Vive a Bolzano con la moglie Carmen Casteiner, anch’essa campionessa italiana di tuffi negli anni ’70, con la quale ha avuto una figlia, Tania. Dopo il suo ritiro dall’agonismo è diventato allenatore della figlia Tania Cagnotto, come sappiamo tuffatrice di successo mondiale ed olimpico.
Già, visti i suoi nuovi, splendidi successi alle Olimpiadi di Rio, parliamo proprio di lei, la stella che brilla ancora nel cielo carioca, Tatiana Cagnotto, detta Tania
Tania Cagnotto
Figlia d’arte, in quanto il padre (e suo allenatore) Giorgio Cagnotto ha vinto numerose medaglie in campo mondiale ed europeo nel corso degli anni settanta, mentre la madre, Carmen Casteiner, dominava la scena italiana dei tuffi in campo femminile nello stesso periodo.
Dopo essersi imposta a livello giovanile nel 1999, 2000 e 2001, si è affermata successivamente a livello assoluto nel panorama europeo. Agli Europei di Berlino2002 ha vinto il bronzo dal trampolino sincronizzato dai 3 metri con Maria Marconi e l’argento dalla piattaforma. Agli Europei di Madrid2004 ha vinto il bronzo dal trampolino da 1 metro e l’oro dalla piattaforma.
A livello mondiale ha vinto la medaglia di bronzo dal trampolino da 3 metri ai Mondiali di Montreal nel 2005 . Si tratta della prima medaglia mondiale vinta da una tuffatrice italiana. Durante il biennio 2005-2006, Tania si trasferisce nelle strutture dell’Università di Houston per potersi allenare con la direttrice tecnica che ha formato agonisticamente la tuffatrice russa Julia Pakhalina, da sempre ritenuta dalla bolzanina il modello di tuffatrice ideale, aggiudicandosi diverse volte il titolo di Women’sSwimmer and Diver of the Week (nuotatrice e tuffatrice della settimana); l’arrivo dell’uragano Rita interrompe bruscamente la permanenza in Texas.
Tania per noi
….e così faceva papà….
È la prima donna italiana ad aver conquistato una medaglia mondiale nei tuffi e l’unica ad aver vinto una medaglia d’oro, oltre ad essere la tuffatrice europea con il maggior numero di podi in carriera. In coppia con Francesca Dallapé si è aggiudicata la medaglia d’argento nel trampolino sincro alle Olimpiadi di Rio del 2016. È considerata la più grande tuffatrice italiana di tutti i tempi.
….e Tania risponde
Ma abbiamo avuto tuffatori di altro e vario tipo, come abbiamo detto, tra i quali ne ricordiamo un paio.
Mister Ok
E partiamo proprio dal titolo e dall’articolo di un giornale romano di quest’anno :
“Mister Ok si tuffa nel Tevere anche quest’anno!”
Tradizioni romane
Il tradizionale tuffo nel Tevere, appuntamento imperdibile per tutti i romani alle 12.00 del 1 gennaio 2016 da ponte Cavour
“Tutto è pronto per Maurizio Palmulli, 63 anni, per tutti Mister Ok, ci sarà anche quest’anno con il tuffo di Capodanno appuntamento irrinunciabile come il brindisi di mezzanotte.
Ma Palmulli forse non sarà il solo a sfidare il freddo: con il suo infatti sono annunciati altri tre tuffi il 1 gennaio da ponte Cavour, nel segno della tradizione inaugurata nel 1946 da Rick De Sonay, l’italo-belga che si lanciava in costume e cilindro, facendo ok con la mano per rassicurare i curiosi che si fermavano ad ammirarlo, e portata avanti da tanti altri.”
Il sessantatrenne Maurizio Palmulli, bagnino di Castel Fusano che l’anno scorso, dopo 26 anni di lanci, aveva annunciato il ‘ritiro’, salvo poi prestarsi a un nuovo tuffo per “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino. Già in precedenza però la figura di Mister Ok era apparsa al cinema: era il 1968, e fu proprio il mitico tuffatore a interpretare se stesso nel film di Dino Risi “Straziami, ma di baci saziami”.
Dall’intervista fatta al Tempo pochi giorni fa,
“per me tuffarmi nel Tevere a Capodanno significa continuare una tradizione bellissima, ricca di passione, di goliardia, di storia. E’ motivo di grande orgoglio. Ho cinque figli, cinque nipoti, quando mi vedono in tv sono felici. E questo per me ha un valore inestimabile».
“Dulcis in fundo” chiudo con un contributo del nostro Direttore siminarion(Annunziato Seminara per la volgarissima anagrafe), che riguarda un “tuffatore de panza”…. (da un “pezzo” di pizzofalconews di un anno fa)
Vincenzo Macchini
Vincenzo Macchini era un socio del Circolo Aniene, il Circolo del Gotha mondano, rotariano,alto borghese, riccardo (alias ricco che ci fa e/o ci è), ma anche prestigioso per attività sportive che nel nuoto e nel canottaggio ha ampia risonanza sulle rive del biondo Tevere, “er Fiume”, quasi accarezzato nella parola dai barcaroli romani, nell’ansa grande dove si immette l’affluente Aniene.
Si esprimeva con una parlata che sé-diceva-sé “de” Oxford, ma che somigliava più al “suahili”, lingua sopraffina e deliziosa del Sud Zaire.
Però era un atleta esuberante e multi specializzato ovunque si trattasse di esprimere spavalderia e coraggio.
Nel 1925 espresse tutto il suo entusiasmo fiumarolo in onore del Duce lanciandosi nel “Fiume” con gesto plastico, portando con sé un fascio littorio ad hoc salutando romanamente l’infinito del suo cielo con il braccio destro.
Gesto di una plasticità gajarda, “siccome il Mercurio di Giambalonga”, che fu immortalata da una foto che rimbalzò a Londra, Parigi, Berlino, New York.
Foto che non riportò l’impatto sull’acqua, celebre “panzata” meno aulica e più dolorosa.
Stile impeccabile di vita appariscente e di gesti “de panza”.
Quando la panzana porta alla panzata.
Mentre noi…………………
……..e Giorgio e Klaus stanno a guardare…….
«Iniziatosi lo scavo, la quarta tomba posta in luce, in circostanze certamente fortunate, è la tomba del Tuffatore: si verificava così il più sconvolgente rinvenimento archeologico da moltissimi anni a questa parte. È, la tomba del Tuffatore, una normale tomba a cassa, formata, cioè, da lastre di travertino locale […] Nulla lasciava sospettare, al momento del rinvenimento, che questa dovesse particolarmente distinguersi dalle molte migliaia di tombe che si sono rinvenute da tempo intorno a Paestum, al di fuori di una cura particolare posta nel suturare con stucco bianco le congiunzioni tra le varie lastre, come se si fosse voluto evitare che l’acqua o il terreno penetrassero nell’interno della tomba. Sollevata la lastra di copertura, ecco apparire la tomba completamente affrescata, non solo nelle pareti interne delle quattro lastre formanti la cassa, ma anche, e questa è una strana novità, nell’interno della lastra di copertura… » |
(Mario Napoli. La tomba del tuffatore in Il domani d’Italia, gennaio 1969)
|